Articolo di revisione
Pubblicato: 2019-12-01

La formazione in pneumologia interventistica

U.O.C. Pneumologia Ospedale “C. e G. Mazzoni”, Ascoli Piceno;
S.O.D. di Pneumologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I-G.M. Lancisi-G. Salesi”, Ancona
Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Clinica Pneumologica, Università di Parma
U.O. di Pneumologia Ospedale “G.B. Morgagni-L. Pierantoni”, Forlì
Area di Geriatria, Servizio di Fisiopatologia Respiratoria, Policlinico Universitario Campus Bio Medico, Roma
U.O.C. Pneumologia, Azienda per l’Assistenza Sanitaria 5, Friuli Occidentale
Pneumologia interventistica Formazione Certificazione delle competenze

Abstract

La pneumologia interventistica, disciplina ad alto livello di specializzazione del percorso formativo dello Pneumologo, si occupa delle metodiche invasive e semi-invasive utilizzate nella diagnostica e nella terapia delle patologie del torace coinvolgenti le vie aeree, il parenchima polmonare e la pleura. Negli ultimi anni, la progressione delle tecnologie e l’aumento delle evidenze scientifiche a supporto di tale branca hanno portato le singole istituzioni e le diverse società scientifiche a riconoscere la necessità di stabilire i criteri per l’esecuzione delle varie procedure che la caratterizzano. Nel seguente articolo verranno descritti i percorsi formativi previsti sia in Italia che all’estero e le singole procedure che delineano la figura dello pneumologo interventista (broncoscopia rigida e flessibile, EUS e EBUS, biopsie percutanee, criobiopsia, toracentesi eco-guidata, drenaggio toracico, toracoscopia medica). Verranno poi esaminati gli attuali strumenti di apprendimento e di verifica delle competenze, alcuni dei quali considerati ormai discutibili sotto diversi punti di vista (mancata dimostrazione in termini di efficacia, criticità dell’apprendimento diretto sul malato, sforzi formativi e logistici richiesti sia al tutor che al discente, problematiche di tipo organizzativo ed assicurativo riscontrate dalla struttura ospedaliera). Infine, verranno discussi alcuni aspetti metodologici e formativi dell’attuale approccio didattico, essenzialmente basato su una didattica frontale, teorica e gerarchica (asimmetria tra docente e discente), proponendo modelli alternativi in grado di prendere in considerazione anche le esigenze ed il background dei discenti e che, se integrati all’utilizzo dei simulatori di realtà virtuale nella formazione, potrebbero davvero risultare innovativi.

Introduzione

La Pneumologia Interventistica (PI), disciplina ad alto livello di specializzazione eliminare del percorso formativo dello Pneumologo, si occupa delle metodiche invasive e semi-invasive utilizzate nella diagnostica e nella terapia delle patologie del torace coinvolgenti le vie aeree, il parenchima polmonare e la pleura 1.

La sua evoluzione negli ultimi anni, dovuta alla progressione delle tecnologie e dell’evidenza scientifica a suo supporto, ha portato ad un notevole incremento dell’interesse verso tale branca con la conseguente necessità, da parte delle singole istituzioni e delle diverse società scientifiche, di stabilire quali siano i criteri per l’esecuzione delle varie procedure che la caratterizzano 2.

La trattazione sintetica delle modalità di formazione in tal senso rappresenta il contenuto del presente lavoro che prevede una parte generale relativa alla descrizione dei percorsi formativi previsti in Italia e all’estero, una discussione sistematica delle singole procedure caratterizzanti la figura dello pneumologo interventista ed una terza parte relativa all’approfondimento degli strumenti di apprendimento e di verifica delle competenze.

Infine, verranno discussi alcuni aspetti metodologici che potrebbero, se applicati, modificare in maniera sostanziale l’attuale approccio didattico.

Metodologia di lavoro

Questo lavoro di revisione è il risultato di un’analisi critica della letteratura esistente, effettuata raccogliendo le principali voci bibliografiche in lingua italiana ed inglese presenti nelle banche dati scientifiche internazionali (MEDLINE, PubMed, Scopus, Google Scholar) e presso istituzioni scientifiche nazionali (MIUR, CNR), mediante ricerca per parole chiave (competency, education, training, simulation, post-graduate, interventional pulmunology, bronchoscopy, thoracoscopy, endobronchial ultrasound).

Tutti gli argomenti sono stati elaborati dagli autori e riproposti criticamente, in modo non sistematico (narrative revision). L’elenco delle voci bibliografiche, quindi, non è necessariamente omnicomprensivo, ma rispecchia il corpus di evidenze ritenuto dagli autori funzionale agli obiettivi divulgativi del presente articolo.

I percorsi formativi

a) Il panorama italiano

Al fine di procedere all’accreditamento di una Scuola di Specializzazione, l’attuale proposta formativa italiana (DL n. 402/2017) prevede che vi siano dei requisiti assistenziali minimi (Tabella I) e che lo specializzando esegua un determinato volume di procedure, da registrare su un libretto-diario informatico.

Tuttavia, esiste un’estrema eterogeneità nel numero e nella qualità delle procedure eseguite all’interno delle diverse Scuole ed è importante sottolineare come, tra i requisiti minimi, non venga in alcun modo menzionata la broncoscopia rigida, una competenza essenziale nel profilo professionale dello pneumologo. Al di là delle capacità operative, comunque, è opportuno che lo specializzando ne conosca le indicazioni, le controindicazioni ed i rischi associati a tale procedura.

Al momento della redazione del testo, in Italia risultano disponibili diversi corsi di perfezionamento in ambito di PI e sia l’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) che l’European Respiratory Society (ERS) propongono, rispettivamente a livello locale ed internazionale, Master e Corsi di Alta Formazione tenuti dagli opinion leader del settore che associno alla componente teorica quella pratica, mediante l’utilizzo di modelli inanimati (o animali) e di simulatori.

Al fine di standardizzare la formazione, inoltre, un gruppo di esperti ha prodotto un documento che illustra gli atti della Consensus conference sulla formazione e gli standard di competenza nella pneumologia interventistica 3 4 e che fornisce le indicazioni più aggiornate in ambito di apprendimento, mediante un syllabus inerente le conoscenze, le procedure di base e le metodiche per la valutazione (in itinere e conclusiva) della formazione dello pneumologo interventista.

b) Il panorama europeo e internazionale

Nel tentativo di istituire degli standard europei è stato stilato il progetto HERMES (Harmonised Education in Respiratory Medicine for European Specialists), un programma redatto dall’ERS in collaborazione con la European Union for Medical Specialists (UEMS), il Forum of European Respiratory Societies (FERS) e l’European Board for Accreditation in Pneumology (EBAP) che prevede quattro fasi:

  1. istituzione del Syllabus: definizione dei contenuti caratterizzanti la formazione pneumologica di base e sub-specialistica;
  2. fase del curriculum: definizione delle modalità di insegnamento, apprendimento e verifica delle competenze acquisite;
  3. fase di verifica dell’apprendimento (90 domande a risposta multipla alle quali rispondere in 3 ore);
  4. fase di accreditamento dei centri di formazione mediante la definizione dei criteri minimi necessari e l’istituzione dell’iter e della modulistica a supporto della domanda 5.

A livello internazionale esistono differenti documenti che attestano il numero di procedure necessario ad acquisire le abilità di base, nonostante tale paramentro risulti un indice imperfetto di valutazione 6-8 e dovrebbe essere sostituito da una dimostrazione oggettiva delle competenze e delle conoscenze acquisite 9.

La Thoracic Society of Australia and New Zealand infatti ha strutturato il percorso formativo su: avviamento delle basi teoriche; allenamento su simulatore; pratica di base; valutazione delle procedure in real-life; partecipazione a conferenze sul tema; eventuale produzione di letteratura; ottenimento della certificazione mediante valutazione quantitativa e qualitativa (basata sui parametri di miglioramento funzionale e clinico e sui questionari, validati ed oggettivi, di comfort e di tolleranza della procedura per il paziente); mantenimento di un registro personale dei risultati procedurali 9 10.

Per quanto riguarda il panorama statunitense, le fellowship in PI, che fanno seguito al percorso di formazione in Pulmonary and Critical Care Medicine, prevedono un programma educativo da svolgersi in non meno di 12 mesi, con almeno 9 mesi di addestramento in sala endoscopica 11 12.

La broncoscopia flessibile

La broncoscopia flessibile è una procedura fondamentale nel bagaglio di competenze dello pneumologo 1 13 e nel corso degli anni le diverse società scientifiche (American College of Chest Physicians - ACCP 7 9, ERS 14, American Association for Bronchology and Interventional Pulmonology - AABIP 12, Association of Interventional Pulmonology Program Directors - AIPPD 12, British Thoracic Society - BTS 15, Thoracic Society of Australia and New Zealand 10), hanno stilato i criteri di base per la formazione, prevedendo specifici requisiti da raggiungere:

  1. periodo minimo di formazione non inferiore ai 12 mesi, per AABIP e AIPPD 12;
  2. almeno 100 procedure (200 per la Germania), tra cui biopsie endo- e transbronchiali ed agobiopsie transbronchiali (TBNA), eseguite sotto la supervisione di un operatore esperto, secondo l’ACCP 9;
  3. 25 agobiopsie con ago da citologia, con almeno 10 campioni positivi, prima di poter utilizzare l’ago da istologia, per l’ERS/ATS 6.

Tuttavia, come evidenziato da più autori anglosassoni 9 10 15 16, non appare importante tanto il numero di procedure eseguite, quanto la reale competenza raggiunta dal singolo.

Endosonografia bronchiale (EBUS), ecoendoscopia transesofagea (EUS) ed ecoendoscopia transesofagea mediante l’uso di ecobroncoscopio (EUS-B)

Ad oggi l’agobiopsia transbronchiale ecoguidata (EBUS-TBNA) viene considerata lo standard nella stadiazione delle linfoadenopatie ilari e mediastiniche nel cancro del polmone 17 e rappresenta uno strumento estremamente utile nella diagnosi di alcune patologie infiammatorie croniche (sarcoidosi) 18 e di alcune neoplasie ematologiche (linfomi) 19.

L’importanza di una formazione standardizzata in tale ambito appare evidente 20 21 e si ritengono necessarie fino a 120 procedure di EBUS-TBNA per raggiungere sufficienti livelli di accuratezza diagnostica 22 e 37-44 procedure per raggiungere un accettabile livello di autonomia 20.

Le attuali raccomandazioni fornite dalle società scientifiche prevedono:

  1. 40-50 procedure di EBUS-TBNA supervisionate per l’acquisizione delle competenze, secondo l’ERS/ATS 7 14;
  2. un minimo di 20-25 EBUS-TBNA/anno, per garantire il mantenimento di un buon standard qualitativo 7, secondo l’ACCP;
  3. almeno 30 EBUS che prevedano esplorazione ecografica del mediastino, con almeno 10 prelievi in EBUS-TBNA 9, secondo la società americana di chirurgia toracica.

In un documento pubblicato sullo European Respiratory Journal 17 si riconoscono i limiti della formazione basata sul numero fisso di procedure e, in accordo con le linee guida della BTS 15, si consiglia un approccio basato sugli outcome e sulle performance individuali all’interno di un programma di training che prevede 3 step:

  1. test teorico;
  2. test pratico al simulatore;
  3. training supervisionato presso la struttura del discente, con certificazione finale ottenuta attraverso l’elaborazione di un video.

Tale impostazione è stata recepita dalla stessa ERS che, nel 2016, ha istituito un corso per la certificazione europea della competenza in EBUS-TBNA 23.

Negli ultimi anni la possibilità di effettuare una completa stadiazione del mediastino mediante la combinazione di endosonografia bronchiale (EBUS) ed esofagea (EUS) 17 23 24, sia attraverso l’uso di uno strumento dedicato (EUS-FNA) 25 che mediante l’ecobroncoscopio (EUS-B-FNA) 26 27, sta suscitando sempre più interesse. Purtroppo, esistono solo pochi studi in merito e, sebbene siano state pubblicate linee guida specifiche sull’esecuzione dell’EUS-FNA 25 28, queste non possono essere applicate alla stadiazione mediastinica perché più orientate allo studio delle lesioni del pancreas e di altri organi addominali e meno alla valutazione delle stazioni linfonodali del mediastino ed al campionamento delle lesioni polmonari.

Di recente, Konge et al. 29 hanno documentato che gli pneumologi con una conoscenza delle tecniche di stadiazione del carcinoma polmonare e con esperienza nella broncoscopia possono migliorare rapidamente le loro prestazioni di EUS-FNA e raggiungere una competenza soddisfacente (anche se non una completa autonomia) già dopo 20 procedure supervisionate. Tuttavia, diversi autori sottolineano la necessità di standardizzare la formazione, di sviluppare nuovi strumenti per l’apprendimento, di fornire strumenti ad hoc per l’EUS-B-FNA e simulatori specifici per l’EUS-FNA delle strutture mediastiniche 30 31.

L’ERS, in cooperazione con le principali società scientifiche europee di chirurgia toracica ed endoscopia digestiva, ha sviluppato nuove linee guida in cui si delineano le competenze per l’esecuzione della ecoendoscopia transesofagea (EUS) nell’ambito della stadiazione mediastinica pneumologica del tumore del polmone 17.

La broncoscopia rigida

L’endoscopia operativa mediante broncoscopio rigido costituisce una specializzazione di II livello in ambito pneumologico e richiede l’acquisizione di una serie di competenze 14, le più comuni delle quali sono raccolte nella Tabella II 11.

Per quanto riguarda l’utilizzo del laser è richiesto un corso dedicato 7 che prevede 15-20 procedure supervisionate, eseguite su modelli inanimati ed animali 10, per l’acquisizione di un accettabile livello di autonomia e 10-15 procedure/anno per il mantenimento delle competenze 6 7.

Le linee guida neozelandesi del 2012, pur definendo un esiguo numero minimo di procedure necessarie (5 procedure supervisionate, più ulteriori 5 assistite), identificano in un numero di complicanze (emorragia, ipossemia, perforazione, eventi cardio-vascolari) inferiore al 5% e nel miglioramento dei sintomi osservato in più del 90% dei pazienti gli outcome di performance qualitativa 10.

Le biopsie percutanee

Il prelievo percutaneo costituisce una tecnica fondamentale per la tipizzazione delle lesioni periferiche e sub-pleuriche del polmone, in grado di fornire materiale citologico o istologico per la diagnosi di patologie neoplastiche ed infiltrative diffuse del polmone 32.

La corretta esecuzione del prelievo bioptico presuppone la presenza di sistemi di guida radiologica [fluoroscopia, C-arm cone-beam Computed Tomography (CT), ecografia e risonanza magnetica (MRI)] 33 che consentono il raggiungimento della lesione polmonare, minimizzando il rischio di complicanze.

Le linee guida dell’ACCP ritengono che i discenti debbano eseguire sotto supervisione almeno 20 agobiopsie (di cui almeno 10 effettuate con ago tranciante) per sviluppare le competenze di base e almeno 10 procedure/anno per mantenere un’adeguata manualità 7.

L’American College of Radiology (ACR) reputa che per l’esecuzione di biopsie guidate in generale (polmone incluso) sia necessaria un’esperienza di almeno 2 anni, durante i quali il discente debba eseguire almeno 35 procedure (25 delle quali come primo operatore) e monitorare costantemente i tassi di complicanza 34.

La Society of Interventional Radiology (SIR) 35 e la Cardiovascular and Interventional Radiological Society of Europe (CIRSE) 36 sottolineano quanto sia necessaria una particolare formazione nella gestione delle complicanze da biopsia polmonare (pneumotorace), senza tuttavia definirne il training.

La criobiopsia

L’uso della criosonda nelle procedure di broncoscopia fu descritto per la prima volta negli anni 70, quando questo strumento veniva esclusivamente adoperato a scopo terapeutico nel trattamento dei tumori endobronchiali, al fine di congelare e necrotizzare il tessuto neoplastico da asportare.

Nel 2009, Babiak descrisse il potenziale utilizzo della criosonda per la biopsia polmonare e, con lo sviluppo di criosonde flessibili, il campo della loro applicazione venne allargato alla diagnosi delle pneumopatie infiltrative diffuse, proponendosi come alternativa alla biopsia chirurgica, in virtù di una ridotta incidenza di complicanze e di costi inferiori legati all’ospedalizzazione del paziente 37.

Il ricorso alla criobiopsia rispetto alle altre tecniche di prelievo polmonare (VATS o Open Surgery) è, seppur promettente, attualmente dibattuto e non vi sono ancora dati conclusivi in grado di raccomandarne o meno l’utilizzo sistematico 38.

In una recente metanalisi di 15 studi controllati randomizzati, la criobiopsia ha confermato un accettabile profilo di sicurezza ed un più basso tasso di mortalità rispetto alla biopsia chirurgica, pur in presenza di un’accuratezza diagnostica minore; inoltre, la criobiopsia e la biopsia chirurgica potrebbero essere delle metodiche complementari nella diagnostica delle interstiziopatie polmonari, utilizzando la criobiopsia come primo approccio diagnostico, per poi ricorrere alla biopsia chirurgica qualora la metodica risultasse non adeguata o non diagnostica 39.

Per un corretto svolgimento della procedura è necessario possedere tutte le competenze richieste per la broncoscopia flessibile e rigida, saper selezionare il paziente e saper gestire eventuali complicanze (pneumotorace e sanguinamento).

Si suggerisce, poi, l’esecuzione delle biopsie sotto controllo fluoroscopico 40 (così da essere certi della sede del prelievo) e, per contrastare l’eventuale sanguinamento, il posizionamento preventivo di un pallone di Fogarty (nel bronco segmentario in cui verrà eseguita la biopsia), da gonfiarsi subito dopo il prelievo.

In un lavoro di Almeida 41 sono state valutate le curve di apprendimento di un singolo broncoscopista su un gruppo di 100 pazienti con malattia interstiziale diffusa del polmone ed è stato osservato che la resa diagnostica e le dimensioni dei prelievi miglioravano dopo i primi 50 esami, con una diminuzione del numero di pneumotorace. Per tale motivo, si suggerisce l’esecuzione di almeno 70 esami al fine di acquisire un alto livello di competenza.

La toracentesi ecoguidata

La toracentesi è una procedura percutanea finalizzata a prelevare, tramite ago, il liquido pleurico a scopo diagnostico o terapeutico.

La sua corretta esecuzione è strettamente correlata all’esperienza dell’operatore, alla sua dimestichezza con i differenti kit disponibili ed all’utilizzo dell’ecografia che, tramite la visualizzazione della parete toracica, del diaframma, dei polmoni, degli organi sottodiaframmatici, della profondità cute-pleura parietale e di eventuali vasi anomali intercostali, guida l’operatore nella scelta della sede di puntura e della profondità di inserimento dell’ago, permettendo inoltre di verificare la presenza di un eventuale pneumotorace iatrogeno senza ricorrere alla radiografia 42.

Sebbene le linee guida della BTS 43 raccomandino l’utilizzo sistematico dell’ecografia, sia nella realtà italiana che in quella internazionale, l’insegnamento di tale metodica durante il percorso di specializzazione non è ancora largamente diffuso e l’apprendimento avviene essenzialmente su iniziativa personale, mediante corsi dedicati.

Per quanto riguarda la toracentesi, in letteratura non è presente un ampio consenso sulla durata ottimale della formazione: nonostante alcuni studi condotti sui medici in formazione evidenzino un aumento della sicurezza nell’esecuzione di tale metodica dopo la quinta/sesta procedura 44, le curve di apprendimento non mostrano un andamento riproducibile, per cui non è possibile stabilire con precisione la durata ottimale del training. Sono comunque disponibili strumenti per l’apprendimento, come simulatori e test specifici (vedi paragrafo dedicato).

Il drenaggio toracico

Per drenaggio toracico si intende il posizionamento di un sondino nel cavo pleurico allo scopo di evacuare raccolte aeree o liquide ed ottenere la riespansione del polmone.

La conoscenza delle caratteristiche e del funzionamento dei diversi drenaggi è una risorsa indispensabile per una buona pratica clinica di ogni pneumologo e la formazione prevede tre fasi 45:

  1. lezioni di teoria;
  2. simulazione sui manichini;
  3. pratica progressiva con un supervisore esperto e con l’utilizzo di strumenti di valutazione validati.

Le competenze di base necessarie per posizionare un drenaggio toracico sono quelle comuni ad altre procedure invasive sul torace ed è inoltre necessario conoscere:

  1. i diversi tipi di drenaggi toracici e le loro indicazioni;
  2. le tecniche di posizionamento del paziente e dei drenaggi (Seldinger e breccia toracica);
  3. la gestione post-procedurale del paziente e dei raccoglitori tipo Bulau;
  4. la gestione delle complicanze (pneumotorace, emottisi, lacerazione arteria intercostale), la cui percentuale può essere ridotta mediante l’utilizzo dell’ecografia toracica 46.

Nel 2017, una consensus ha stabilito che potranno essere accreditati per la formazione in PI solo i centri in grado di effettuare il posizionamento di almeno 20 drenaggi toracici/anno 12, mentre per quanto riguarda il singolo operatore sono richieste 5-10 procedure/anno sotto supervisione (per l’acquisizione delle competenze) e 3-5 per il mantenimento 3 7.

La toracoscopia medica

La Toracoscopia Medica (TM) è una procedura mini-invasiva che viene eseguita dallo pneumologo, in anestesia locale o sedazione moderata, e che permette l’esplorazione dello spazio pleurico, l’esecuzione di biopsie mirate in visione diretta ed interventi terapeutici (pleurodesi chimica) 47. Le abilità richieste per poter eseguire una toracoscopia sono elencate nella Tabella III 48.

Negli Stati Uniti, tradizionalmente, la TM viene effettuata solo in alcuni centri specializzati, mentre in Asia ed in Europa tale metodica è decisamente più diffusa 47, anche se a tutt’oggi non esistono linee guida relative al training ed ai livelli di competenza da ottenere.

Secondo Casalini et al. 49, lo pneumologo deve aver assistito ad almeno 20 toracoscopie presso i centri accreditati, aver eseguito almeno 10 toracoscopie come primo operatore (limitandosi nei primi 50 esami alla diagnosi ed al trattamento sinfisario dei versamenti pleurici e dello pneumotorace) ed effettuare almeno 15 toracoscopie/anno per il mantenimento delle competenze.

Analogamente, secondo Loddenkemper 48 sono necessarie almeno 20 procedure per avere confidenza con la strumentazione ed almeno 12 TM/anno per il mantenimento, non specificando però il ruolo che l’operatore debba esercitare in ogni singola sessione (primo operatore, secondo operatore etc.).

Infine, il già citato documento italiano sulla definizione degli standard di formazione e competenze in PI 3 4 indica l’esecuzione di almeno 20 procedure, propone gli strumenti per la verifica qualitativa delle competenze (questionari “case-oriented” basati sul “decision making”, Direct Observation of Procedural Skills - DOPS, Meta Cognition Questionnaires - MCQ) e suggerisce il raggiungimento di outcome come la resa diagnostica ed il tasso di complicanze procedurali.

Strumenti per la certificazione dell’apprendimento

La sempre crescente complessità delle metodiche rende l’attuale processo di apprendimento discutibile sotto diversi punti vista: la mancata dimostrazione in termini di efficacia di tale approccio; la criticità da un punto di vista medico-legale ed etico dell’apprendimento diretto sul malato; i notevoli sforzi formativi e logistici che vengono richiesti alle due figure coinvolte nel training (il medico supervisore ed il discente); le problematiche di tipo organizzativo ed assicurativo riscontrate dalla struttura ospedaliera che riducono la produttività dell’unità di PI nelle giornate di didattica e che incidono sul livello di soddisfazione di medici e pazienti 50 51. È stato infatti dimostrato come la presenza di un broncoscopista in formazione si associ ad una maggiore durata delle procedure, ad una maggiore dose di anestetico somministrato e ad una minore resa diagnostica dell’esame 52. In più, le evidenze mostrano come la curva di apprendimento associata alla pratica diretta sul paziente tenda frequentemente ad essere più lunga del necessario, a causa della presenza di pazienti “difficili” o per la possibile resistenza da parte dell’istruttore a delegare il principiante a svolgere procedure potenzialmente rischiose.

Appare quindi evidente come il problema di garantire la più adeguata formazione sia imprescindibile e richieda una profonda riflessione da parte delle istituzioni chiamate a garantirla, in una realtà in cui la mancanza di aggiornamento tecnologico degli ospedali, la scarsa disponibilità di ore di formazione e la carenza di personale dedicato rappresentano più la regola che l’eccezione.

Ruolo dei simulatori di realtà virtuale nella formazione

In un siffatto contesto risulta necessaria la valorizzazione di un metodo di apprendimento basato sulla simulazione, ambito di interesse sempre crescente e contraddistinto da forti evidenze, a conferma della sua funzione fondamentale nel training.

Le simulazioni a bassa e ad alta fedeltà, considerate metodiche complementari e non alternative 53, risultano ugualmente efficaci nel training delle competenze broncoscopiche di base (adeguato utilizzo del broncoscopio, corretta manualità) 54.

La simulazione a bassa fedeltà, più economica e di facile reperibilità, consente di aumentare le abilità psicomotorie del broncoscopista (soprattutto nelle prime fasi dell’allenamento) 55 ed è indicata per la formazione in broncoscopia flessibile di base 56, mentre quella ad alta fedeltà viene suggerita per l’acquisizione di competenze più avanzate (EBUS/EUS, procedure con elevato livello di complessità tecnica) 57.

Al di là del ruolo significativo dei simulatori nell’acquisizione delle competenze, un lavoro di Barsuk 58 ha evidenziato una riduzione dell’insorgenza di pneumotoraci iatrogeni (conseguenti a toracentesi) in un gruppo di medici formati mediante simulatore (rispetto al gruppo di medici formatisi sul campo) e, in modo analogo, Dulohery 59 ha valutato i progressi dei discenti al termine di un corso di simulazione, dimostrando un miglioramento significativo nelle competenze.

La simulazione, quindi, rappresenta uno strumento efficace per garantire l’adeguata formazione dei tirocinanti, accorciare la loro curva di apprendimento (specialmente nella parte iniziale) 60 e consentire loro di intraprendere una procedura su paziente reale con una maggiore padronanza tecnica e clinica, riducendo inoltre al minimo il rischio di danneggiamento dello strumento o di malpractice.

Strumenti di valutazione quantitativa e qualitativa dell’apprendimento

L’esistenza di un’estrema variabilità nelle singole curve di apprendimento dei praticanti e la mancanza della valutazione qualitativa della procedura da essi eseguita hanno portato le diverse società scientifiche europee (European Society of Gastrointestinal Endoscopy - ESGE, ERS e European Society of Thoracic Surgeons - ESTS) a stilare nuove linee guida in cui non viene più richiesta una valutazione quantitativa, ma un’analisi qualitativa del livello di apprendimento 17, attraversoun processo “step by step” che verifichi tutte le abilità di base (Tabella IV) e l’utilizzo di questionari (Tabella V) in grado di fornire una valutazione qualitativa delle competenze (sia in ambito broncoscopico 61 che ecoendoscopico) e del training svolto 60 62-64.

Tali strumenti, però, a volte rappresentano un sistema di classificazione troppo grossolano che non prende in considerazione i piccoli, ma sostanziali, miglioramenti che avvengono, ad esempio, durante il passaggio da operatore competente ad operatore esperto.

Sebbene sembri ormai assodato raccomandare sistematicamente il ricorso ad un addestramento simulato, è innegabile che garantire l’accesso di un numero relativamente basso di specialisti ad un tale livello di formazione comporti costi e criticità logistiche non indifferenti e che non possa, di norma, essere appannaggio delle singole Scuole di Specializzazione, ma di centri nazionali a cui inviare i discenti. In tal senso, la situazione italiana è decisamente positiva e la presenza di un Master Universitario di II livello in Pneumologia Interventistica ad Ancona e Firenze, insieme alla recente istituzione di un Centro di Simulazione Avanzata in Pneumologia (CeFAeS) presso la sede AIPO di Milano, rappresentano un promettente scenario.

Prospettive future

Nonostante, ad oggi, il ricorso alla simulazione consenta al tirocinante di raggiungere l’abilità di base per avviare una vera endoscopia sul paziente e permetta di ricreare situazioni di elevato realismo, questo non è ancora abbastanza.

Sarebbe necessario, infatti, profondere maggiori sforzi nel perseguimento di ulteriori miglioramenti tecnologici in modo che i simulatori possano presto fornire scenari clinici specifici, più rari e difficili da sperimentare (la rottura dell’ago, il sanguinamento massivo, l’ipossiemia grave, l’asfissia da inalazione da corpo estraneo), che il professionista potrebbe essere chiamato a gestire. Ciò consentirebbe, proprio come accade nell’ambito della formazione in aeronautica, di sperimentare protocolli di emergenza che potrebbero essere molto improbabili nella pratica reale, ma che devono comunque poter essere affrontati in modo sicuro e corretto.

Appare inoltre evidente la necessità di modificare l’attuale modello di apprendimento, essenzialmente basato su una didattica frontale, teorica e gerarchica (asimmetria tra docente e discente), con nuove metodologie (Flipped Classroom e Problem-Based Learning) capaci di prendere in considerazione anche le esigenze ed il background dei discenti.

Il modello della Flipped Classroom suggerisce l’inversione del tradizionale canone di formazione, che vede la didattica frontale come principale focus dell’apprendimento, e propone che lo studio teorico-cognitivo venga effettuato nel corso di sessioni che precedono la lezione in aula (seminari web-based, ECM, lezioni frontali registrate e somministrate). Tale fase di trasmissione teorica e nozionistica verrà poi elaborata dal discente che, una volta in classe, potrà condividere considerazioni, dubbi e criticità sia con il docente che con i colleghi, sviluppando una sintesi costruttiva ed efficace dei contenuti acquisiti. In un contesto come quello della formazione in PI, tale modello consentirebbe di affiancare un maggior numero di ore di didattica ad aspetti di ordine pratico, manuale ed operativo.

Il secondo modello formativo proposto, invece, è costituito dall’apprendimento basato sul problem-solving, ossia sulla possibilità di operare le migliori scelte possibili, partendo da un contesto di simulazione di situazioni cliniche realistiche o verosimili ed attraverso l’interazione tra risorse logiche e creative. Tale modalità di apprendimento, infatti, si propone anche estremamente funzionale a sviluppare le cosiddette non technical skills (capacità di lavorare in team, di comunicare con i colleghi e di gestire situazioni critiche o impreviste), basate sulla definizione di modelli mentali e comportamentali condivisi, fondamentali nella formazione trasversale dei gruppi di lavoro.

Qualora tali modelli metodologico-didattici venissero integrati alla simulazione ad alta fedeltà e cuciti su misura sulla formazione in Pneumologia, potrebbero davvero risultare innovativi 57.

Figure e tabelle

Requisiti assistenziali Numero minimo di procedure durante il Corso di Specializzazione in Pneumologia Volume minimo annuale di procedure svolte dalla struttura preposta alla formazione specialistica per singolo specializzando Volume minimo annuale di procedure necessario all’attivazione della Scuola
• Broncoscopia flessibile 80 (di cui almeno 30 eseguite personalmente) 400 1.200
• Punture pleuriche esplorative/toracentesi anche in eco guida/toracoscopie mediche 15 75 225
• Ecografie toraciche 30 150 450
• Posizionamenti di drenaggi pleurici in assistenza 10 50 150
Tabella I.Requisiti minimi generali e specifici di idoneità della rete formativa (modificato da DL n. 402/2017, allegato 2).
Asportazione di corpi estranei Gestione emottisi massiva Disostruzione endobronchiale (meccanica e/o con uso di laser, elettrocauterio, argon plasma) Posizionamento di protesi endobronchiale Terapia fotodinamica Crioterapia e criobiopsie
Tabella II.Principali procedure operative da eseguirsi in broncoscopia rigida.
1. Esecuzione di una toracentesi diagnostica e terapeutica
2. Esecuzione di una anestesia locale
3. Esecuzione di una biopsia percutanea
4. Esecuzione di una broncoscopia flessibile
5. Gestione della strumentazione rigida (opzionale)
6. Gestione del toracoscopio rigido o semirigido (o entrambi)
7. Gestione delle pinze da biopsia e degli altri strumenti
8. Gestione degli strumenti per coagulare
9. Gestione dell’atomizzatore del talco o del talco spray
10. Conoscenza dei sistemi di video endoscopia
11. Conoscenza dell’ecografia e/o della fluoroscopia (opzionale)
12. Conoscenza dei drenaggi toracici e dello svuotamento pleurico
13. Conoscenza dei drenaggi toracici con posizionamento con tecnica “chiusa”
14. Conoscenza delle tecniche di pleurodesi
Tabella III.Abilità richieste per poter eseguire una toracoscopia.
a) “Riconoscimento del pattern”: capacità di riconoscere i punti di repere anatomici durante l’esecuzione di una procedura reale eseguita da terzi o su un simulatore
b) “Manualità nell’utilizzo dell’endoscopio”: saper manovrare l’endoscopio raggiungendo con destrezza ogni singolo punto esplorabile delle vie aeree o del cavo pleurico
c) “Eseguire correttamente i campionamenti diagnostici”: dimostrare di sapere eseguire correttamente, e con la giusta sequenza, tutti i passaggi necessari a conseguire in sicurezza un prelievo di qualità (BAL, TBNA, biopsia bronchiale e transbronchiale, EBUS-TBNA, EUS-B-FNA)
Tabella IV.Processo “step by step” per verificare le abilità del tirocinante.
Metodica DOPS
• Broncoscopia Flessibile BSET (Bronchoscopy Stepwise Evaluation Tool)
BSTAT (Bronchoscopy Skills and Tasks Assessment Tool)
BGRS (Bronchoscopy Global Rating Scale)
BERS (Bronchoscopy Exercises Rating Scale)
OBAT (Ontario Bronchoscopy Assessment Tool)
• EBUS EBUS-STAT (EBUS Skills and Tasks Assessment Tool)
EBUSAT (EBUS Assessment Tool)
• EUS EUSAT (Endoscopic Ultrasonography Assessment Tool)
Ultrasound-Guided Thoracentesis UGSTAT (Ultrasound-Guided Thoracentesis Skills and Tasks Assessment Test)
Tabella V.Strumenti di valutazione (DOPS) attualmente disponibili.

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Affiliazioni

Sara Colella

U.O.C. Pneumologia Ospedale “C. e G. Mazzoni”, Ascoli Piceno;

Alessandro Di Marco Berardino

S.O.D. di Pneumologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti “Umberto I-G.M. Lancisi-G. Salesi”, Ancona

Alberto Fantin

Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Clinica Pneumologica, Università di Parma

Silvia Puglisi

U.O. di Pneumologia Ospedale “G.B. Morgagni-L. Pierantoni”, Forlì

Simone Scarlata

Area di Geriatria, Servizio di Fisiopatologia Respiratoria, Policlinico Universitario Campus Bio Medico, Roma

Mario Tamburrini

U.O.C. Pneumologia, Azienda per l’Assistenza Sanitaria 5, Friuli Occidentale

Copyright

© AIPO – Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri , 2019

Come citare

Colella, S., Di Marco Berardino, A., Fantin, A., Puglisi, S., Scarlata, S., & Tamburrini, M. (2019). La formazione in pneumologia interventistica. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 34(5-6), 181-190. Recuperato da https://www.aiporassegna.it/article/view/15
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