ARDS e danno polmonare da ventilazione meccanica: recenti acquisizioni terapeutiche
Abstract
L’ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) nel corso degli anni ha subito numerose denominazioni ascrivibili alla sua non univocità etiologica, con conseguenti diverse classificazioni, sino all’inquadramento attuale dato dal gruppo di studio ARDS network (Berlino, 2012). Nonostante gli sforzi compiuti in questi anni in ambito terapeutico, che hanno portato ad una sensibile riduzione di incidenza di exitus per insufficienza respiratoria irreversibile (solo il 16% dei casi), l’ARDS permane una patologia ad altissima mortalità, dovuta generalmente alla diffusione extra-polmonare del danno d’organo (MOF, Multi-Organ Failure), spesso proprio a causa di modelli ventilatori responsabili dell’amplificazione del danno polmonare (VILI, Ventilator Induced Lung Injury). Recentemente si è dimostrato come il biotrauma polmonare da ventilazione meccanica, instaurandosi su un polmone di dimensioni ridotte a causa della patologia sottostante (baby lung), possa propagarsi ad altri organi attraverso vie di signaling extracellulare, contribuendo all’insorgenza di MOF e aumentandone drasticamente le percentuali di mortalità. Il che ha indotto ad effettuare strategie ventilatorie “protettive”, utilizzando Volumi correnti (Tidal Volume, Vt) ridotti a 6 mL/kg/peso corporeo ideale, livelli di Pressione Positiva di Fine Espirazione (PEEP, Positive End-Expiratory Pressure) adeguati e Pressioni di plateau (Pplat) < 30 cmH2O al fine di evitare fenomeni di apertura/chiusura alveolare (atelectrauma) o di sovradistensione (barotrauma), combinate con manovre di pronazione/supinazione. Il riscontro d’insorgenza di biotrauma, pur utilizzando la VAM (Ventilazione Artificiale Meccanica) protettiva, ha recentemente indotto all’impiego di modelli di ventilazione ultra-protettiva (4 mL/kg/peso corporeo ideale) al fine di minimizzare tale fenomeno. L’impiego di tecniche di depurazione extracorporea di CO2, quale l’ECCO2R (Extra-Corporeal CO2 Removal), finalizzato a correggerne l’inevitabile conseguente ipercapnia, costituisce, al momento, la principale sfida terapeutica.
Definizione
L’ARDS, attualmente acronimo di Acute Respiratory Distress Syndrome, è stata definita in svariati modi a seconda del grado di conoscenza dell’etiopatogenesi e di pari passo con l’affinamento delle metodiche diagnostiche, specie di quelle per immagini.
Oggi tale entità nosologica è caratterizzata dal tempo di insorgenza rispetto all’evento scatenante (generalmente entro 1 settimana), da opacità polmonari bilaterali evidenti alla RX/TC, dall’origine non-cardiogena dell’edema polmonare e dal grado di ossigenazione tissutale espresso come rapporto PaO2/FiO2 (Pressione arteriosa di ossigeno/Frazione inspiratoria di ossigeno), in presenza di valori di PEEP (Positive End-Expiratory Pressure) o CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) ≥ 5 cmH2O, come indicato dalla Classificazione di Berlino 1 2 del 2012, attualmente in vigore (Tabella I).
Un aspetto peculiare dell’ARDS: il baby lung
Nell’ARDS si ha una riduzione della superficie alveolare ventilabile globale (300-500g) che rende il polmone quantitativamente simile a quello di un bambino di 5-6 anni (baby lung) 3; inoltre si accentuano i fenomeni di “dipendenza” gravitazionale delle zone polmonari declivi.
Nell’ARDS si ha una riduzione della superficie alveolare ventilabile globale che rende il polmone quantitativamente simile a quello di un bambino di 5-6 anni.
L’entità del fenomeno dipende dalla gravità dell’ARDS (in termini di parenchima coinvolto dal processo patologico) e, conseguentemente, da quanto risulta ridotta la compliance del sistema respiratorio (polmone-gabbia toracica), correlata com’è in funzione diretta all’entità del baby lung. La bassa compliance, quindi, è conseguente alla riduzione della superficie alveolare indenne, dovuta alla disomogeneità della patologia, che determina zone polmonari sane ed altre interessate dal processo patologico; in quest’ultime sono presenti aspetti riconducibili ad alterazioni che vanno dall’alveolite alla fibrosi finale “distrettuale”. Il baby lung tuttavia si è rivelato un concetto squisitamente funzionale. In posizione prona, infatti, con la ridistribuzione del baby lung dalle regioni ventrali a quelle dorsali, si è rilevato un incremento delle aree ventilabili e una più omogenea distribuzione delle forze di distensione sul polmone. Ciò comporta un miglioramento dell’ossigenazione, contribuendo a far guadagnare tempo, in attesa che la terapia della noxa patogena faccia effetto.
A determinare il danno polmonare da ventilazione artificiale (Ventilator Induced Lung Injury, VILI), non sembra essere tanto l’impiego in sé di un alto volume corrente (Tidal Volume, Vt), quanto il suo rapporto con il baby lung (Vt/baby lung), nel senso che più piccolo è il baby lung (cioè le aree reclutabili), maggiore il rischio di impiegare una ventilazione potenzialmente dannosa. Il che ha fornito il razionale ad un approccio ventilatorio “protettivo” 3 e le basi teoriche all’interpretazione di concetti quali il baro- e il volu-trauma. L’applicazione di una PEEP, espandendo il baby lung, permette una maggiore distensione di unità alveolari già aperte e ne recluta di nuove 4.
Il danno polmonare da ventilazione artificiale (VILI/VALI)
L’ARDS è una patologia di estrema gravità, alquanto comune (incidenza di circa 80 casi per 100.000 abitanti l’anno) con una mortalità ospedaliera stimata tra il 33% ed il 50%. È noto da tempo 5 che la mortalità per insufficienza respiratoria irreversibile (cioè non trattabile con Ventilazione Artificiale Meccanica o VAM) costituisce solo il 16% dei casi di ARDS, mentre la prima causa di morte rimane la sepsi di origine extra- o intrapolmonare. In una recente survey internazionale 6 condotta su circa 29.000 pazienti ammessi in ICU (Intensive Care Unit), circa 3.000 presentarono una diagnosi compatibile con ARDS. Di questi, 2.377 svilupparono ARDS nelle prime 48 ore e furono trattati con iMV (Ventilazione Meccanica previa intubazione). Dalla succitata survey emerge che i pazienti con ARDS in meno del 30% dei casi ricevevano un Vt pari o inferiore ad 8 mL/kg di peso corporeo ideale; solamente nel 40,1% veniva monitorata la Pplat e nell’82,6% dei casi era impiegata una PEEP minore di 12 cmH2O con una mortalità ospedaliera del 35%. Il sottogruppo di pazienti con ARDS moderata-severa era trattato con valori più elevati di PEEP (> 15 cmH2O) e presentava una mortalità pari o superiore al 40%. Risulta inoltre ben dimostrata la relazione lineare esistente tra Pplat e driving pressure con la mortalità, dal momento che i pazienti con una driving pressure > 14 cmH2O al primo giorno presentavano un outcome peggiore 6.
La sua rilevanza clinica è strettamente correlata all’effetto iatrogeno della terapia ventilatoria di supporto (VILI), ovvero di Ventilator Associate Lung Injury (VALI), cioè “danno polmonare indotto dal ventilatore”.
VILI e VALI sono due fenomeni simili, ma non identici: il primo è un danno iatrogeno su un polmone altresì sano, il secondo è un danno aggiunto su un polmone già patologico.
VILI e VALI sono due fenomeni simili, ma non identici: il primo è un danno iatrogeno su un polmone altresì sano, il secondo è un danno aggiunto (e spesso poco evitabile) su un polmone già patologico 7. Le basi fisiche, meccaniche e biologiche restano peraltro le stesse nei due fenomeni.
Il VILI non è un concetto nuovo; fin dal 1956 8, infatti, a seguito dell’impiego (protratto) di alti Vt (12 mL/kg di peso corporeo ideale) ed alte Pressioni di plateau (Pplat) a (fino a 50 cmH2O) in pazienti affetti da poliomielite spinale, si riscontrarono segni radiografici ascrivibili a danno alveolare diffuso, infiltrati alveolari, edema polmonare e membrane ialine, in un quadro definito “polmone da respiratore”. Il che veniva confermato anche in pazienti con ARDS, nei quali una ventilazione ad alti Vt senza l’impiego di PEEP (ZEEP: PEEP = 0), comportava l’insorgenza di “barotrauma” per sovradistensione (strain) b parenchimale, dovuta ad elevata pressione transpolmonare (stress) c e perdite di aria 9. Ulteriori studi sperimentali 10 hanno descritto la presenza di un edema polmonare da alterata permeabilità conseguente alla somministrazione di alti Vt, associati o meno all’impiego contemporaneo di alti livelli di PEEP.
Tuttavia è stato dimostrato che l’insorgenza di VILI non dipende unicamente dall’impiego di alti Vt; si è infatti ipotizzato che, a bassi volumi polmonari, la tensione sulle pareti alveolari (shear stress) d dovuta alla ripetuta apertura e chiusura di unità polmonari distali, interdipendenti, ma caratterizzate da differenti proprietà meccaniche, possa indurre un danno (atelectrauma) del parenchima polmonare 11.
Si ritiene che lo stress meccanico responsabile di VILI sia correlato al reclutamento/de-reclutamento durante VAM di alveoli precedentemente collassati (atelectrauma) e/o di sovradistensione alveolare (volutrauma).
Attualmente si ritiene che lo stress meccanico responsabile di VILI sia correlato al reclutamento/de-reclutamento durante VAM di alveoli precedentemente collassati (atelectrauma) e/o di sovradistensione (iper-inflazione) alveolare (volutrauma). Tale danno è ancor più favorito dalla presenza di aree parenchimali disomogenee tipiche dell’ARDS, ove coesistono alterazioni del surfactante, edema alveolare ed atelettasie. L’impiego della PEEP può minimizzare la disomogeneità indotta dalla VAM, come dimostrato da studi sperimentali in vivo su polmone di ratto 12 13 (Figura 1).
Il danno parenchimale da sovradistensione alveolare porta conseguentemente al reclutamento-attivazione dei neutrofili, responsabili questi dell’insorgenza di fibrosi in fase tardiva di malattia. A livello della barriera epiteliale ed endoteliale esso è causa di un aumento della permeabilità capillare per coinvolgimento dei lipidi di membrana; il che, oltre ad essere causa d’insorgenza di edema polmonare, determina la perdita della compartimentazione cellulare e la conseguente traslocazione nel circolo sistemico dei mediatori stessi, di batteri e di liposaccaridi batterici, cui consegue danno d’organo sistemico (MOF, Multi-Organ Failure) e drastico incremento della mortalità. È quanto viene definito con il termine di “biotrauma” 14-18. C’è evidenza tuttavia che strategie ventilatorie protettive, di per sé non responsabili di necrosi parenchimale diretta, possano comunque provocare il rilascio di mediatori dell’infiammazione, presumibilmente attraverso meccanismi di attivazione legati allo stiramento del parenchima e così indurre MOF 19 (Figura 2).
Strategie terapeutiche
Al fine di minimizzare il biotrauma sono state impiegate diverse strategie terapeutiche (Figura 3): un Vt ridotto per limitare la sovradistensione, elevati valori di PEEP per prevenire l’atelectrauma, manovre di reclutamento alveolare (RMs), tali intendendosi le procedure terapeutiche atte a ridistendere alveoli collassati, così da minimizzarne la disomogeneità nelle diverse zone polmonari. Occorre tuttavia sottolineare che i suddetti interventi rappresentano unicamente forme di sostegno all’insufficienza d’organo, atte unicamente a guadagnare il tempo necessario all’intervento terapeutico vero e proprio, qual è la cura medica o chirurgica della patologia sottostante che ha determinato l’insorgenza di ARDS.
a) Ventilazione a bassi volumi correnti
Il riscontro di una sensibile (22%) riduzione della mortalità in soggetti con early ARDS (ARDS modesta; vedi Tabella I) ventilati con bassi Vt (ventilazione protettiva) ne ha modificato le strategie ventilatorie 20 21.
L’impiego di Vt ridotti (6 mL/kg di PBW) e di Pplat mantenute al di sotto dei 25-26 cmH2O è risultato infatti associato ad una riduzione della mortalità ospedaliera del 9%, rispetto a quella riscontrata in soggetti ventilati con metodica tradizionale (Vt pari a 12 mL/kg di PBW e 28-30 cmH2O di Pplat) 22.
L’impiego di Vt ridotti e di Pplat mantenute al di sotto dei 25-26 cmH2O è risultato associato ad una riduzione della mortalità ospedaliera del 9%, rispetto a quella riscontrata con metodica tradizionale.
Tuttavia il Vt applicato tende a distribuirsi unicamente alle zone areate per il fenomeno del pendelluft alveolare e 23; ne consegue che maggiore è la percentuale di polmone non areato, maggiore sarà l’iperinflazione delle zone ventilate, con conseguente liberazione di citochine pro-infiammatorie 24 25. L’impiego di bassi Vt, inoltre, potrebbe non essere in grado di garantire la riapertura di dette aree. Infatti ogni qual volta la ventilazione alveolare si riduce (per riduzione del Vt o della frequenza respiratoria), anche la pressione media delle vie aeree si riduce ed il polmone tende a collassare.
Maggiore è la riduzione della ventilazione, maggiore risulta essere il collasso ed il peso del polmone (atelettasia gravitazionale) 26. Ne consegue peggioramento dell’ipossiemia, oltre che insorgenza di ipercapnia ed acidosi respiratoria (da ipoventilazione alveolare) 27. Si è cercato di ovviare a tale fenomeno tramite l’impiego di elevati valori di PEEP in grado di mantenere aperto il polmone 28, sempre cercando di ottenere il valore più basso di driving pressure f, onde minimizzare il danno parenchimale conseguente all’iperinflazione 29.
b) Ventilazione con alti valori di PEEP
L’impiego di elevati valori di PEEP (> 15 cmH2O) durante la VAM è controverso 30; sebbene indubbiamente migliori l’ossigenazione riducendo l’atelectrauma alveolare 31, tanto da essere considerato un importante predittore di mortalità in casi di “non reclutabilità” 32, è peraltro causa di effetti collaterali rilevanti, sia emodinamici, quali la riduzione del ritorno venoso (per incremento della pressione pleurica), che parenchimali, quali la sovradistensione (barotrauma) con la possibile rottura di unità alveolari.
Inoltre l’incremento della pressione nel circolo polmonare conseguente all’impiego di alti valori di PEEP è responsabile del danno vascolare da distensione, che risulta essere un altro fattore di stimolo sulle cellule endoteliali alla formazione di edema polmonare 33 34.
Per quanto attiene alla reclutabilità alveolare, riconosciamo due sottocategorie di pazienti:
- pazienti a “bassa reclutabilità” che non si giovano dell’impiego di alti valori di PEEP e sono esposti ad un rischio maggiore di sovradistensione 35;
- pazienti con un maggiore grado di reclutabilità affetti da ARDS severa, i quali mostrano una migliore risposta alla PEEP in termini di ossigenazione e di outcome (mortalità) 36 37.
Tuttavia una recente Cochrane review, effettuata su sette trial, concludeva non esserci relazione, ai fini dell’outcome, tra alti e bassi valori di PEEP 38. Attualmente l’attenzione è volta, più che al miglioramento dell’ossigenazione, a mantenere il polmone aperto dopo averlo reclutato, prevenendone il collasso 39 40.
c) Manovre di reclutamento alveolare: quale PEEP?
Molte sono le strategie proposte per effettuare un reclutamento alveolare nei pazienti con ARDS e guadagnare parenchima ventilabile: tutte hanno lo scopo di innalzare temporaneamente la pressione transpolmonare per riaprire alveoli collassati.
La scelta del valore di PEEP prima e dopo RMs è una delle sfide più avvincenti e uno degli argomenti più dibattuti negli ultimi anni.
In considerazione dell’importanza che assume la pressione transpolmonare nell’ARDS valutata in funzione delle modificazioni della pressione esofagea (Pes) (quest’ultima assunta peraltro come “surrogato” della pressione pleurica) essa potrebbe rappresentare il metodo più idoneo a settare la PEEP 41.
Tuttavia la Pes risulta essere eccessivamente influenzata da molteplici fattori quali: gli artefatti cardiaci, la diversa distribuzione della pressione pleurica tra le zone “dipendenti” e le “non dipendenti” (influenzate come sono dalla forza di gravità che aumenta nelle regioni declivi), oltre che dalle variazioni conseguenti alla postura (supina o eretta).
Recentemente sono state proposte misure del grado di stress meccanico derivanti dal rapporto esistente tra reclutamento/de-reclutamento alveolare e grado di iperinflazione durante la VAM a volume controllato; misure, queste, ottenute attraverso l’analisi delle curve di pressione nelle vie aeree 42.
Infine, in studi sperimentali condotti su animali, il riscontro di un danno polmonare indotto dal volutrauma di entità maggiore di quello indotto dall’atelectrauma (ottenuto impiegando volumi polmonari e driving pressure di minore entità) ha portato a considerare la curva Pressione-Volume statica quale migliore indice di VILI 43.
Attualmente le RMs, soprattutto se all’interno di una strategia ventilatoria protettiva, sono certamente da prendersi in considerazione, sebbene non presentino ancora un alto livello di evidenza. Esse sembrano efficaci nel ridurre il danno polmonare, pur se sussistono controversie circa il valore di PEEP da applicare 44, che si è dimostrato peraltro ininfluente ai fini dell’outcome 45. Ne vengono proposte numerose varianti: alcune prevedono un innalzamento progressivo della PEEP; altre, più statiche, sfruttano periodi di ventilazione a PEEP elevata, intervallati da un improvviso ripristino della ventilazione di base.
Le manovre di reclutamento alveolare sembrano efficaci nel ridurre il danno polmonare, pur se sussistono controversie circa il valore di PEEP da applicare.
Indipendentemente dalla manovra che si utilizzi occorre considerare nell’esecuzione delle RMs e nella valutazione di efficacia delle stesse alcuni concetti fondamentali 45 46:
- la PEEP di reclutamento ha una importanza relativa rispetto alla PEEP e alla pressione transpolmonare necessaria poi a mantenere aperto il parenchima così reclutato. Infatti è fondamentale impostare, successivamente alla manovra di reclutamento, una PEEP adeguata per ottenere una driving pressure che sia la più bassa possibile – generalmente al di sotto dei 15 cmH2O – ma che sia nel contempo adeguata a mantenere aperta la porzione di parenchima reclutato. Occorre rilevare, per contro, che valori elevati di PEEP vengono applicati solo in pochissimi casi di ARDS severa. Né va certamente dimenticato, inoltre, l’impatto emodinamico generale e distrettuale che l’applicazione di valori elevati di PEEP inevitabilmente comporta;
- va sempre considerata poi l’esistenza di una diversa responsività alle RMs sui soggetti non responsivi; infatti, l’aumento della PEEP non agirà tanto sul parenchima polmonare, quanto sul sistema cardiovascolare, con effetti emodinamici sfavorevoli in termini di gittata cardiaca e, in definitiva, sull’ossigenazione tissutale 47-49;
- una recente metanalisi su 1.658 pazienti 50 ha rilevato come l’esecuzione di RMs, effettuate indifferentemente a PEEP incrementale o a PEEP elevata per breve tempo, riduceva la mortalità in ICU senza aumentare il rischio di barotrauma, ma non ne modificava l’outcome in termini di mortalità intra-ospedaliera e a 28 gg.
d) Manovre di pronazione/supinazione
Le RMs hanno dimostrato particolare efficacia soprattutto nell’innalzare i livelli di PaO2 per 24-48 h dopo la manovra stessa, così da costituire quel trattamento “ponte” verso la risoluzione medica o chirurgica del quadro scatenante l’ARDS. Hanno un razionale di impiego nel concetto stesso di baby lung e sono effettuate per migliorare l’ossigenazione con diversi meccanismi, tra i quali, precipuamente, l’incremento del volume polmonare e la riduzione delle atelettasie. Pur considerate di relativamente facile effettuazione e scevre da effetti collaterali sono risultate efficaci dopo una settimana di VAM nel 70-80% di soggetti affetti da ARDS, purché in fase precoce. Tra gli effetti collaterali viene segnalata l’insorgenza di piaghe da decubito conseguenti al numero di pronazioni e un’efficacia variabile a seconda dell’etiologia dell’ARDS; i limiti sono la mancata standardizzazione del supporto ventilatorio impiegato durante pronazione e, in definitiva, la sostanziale ininfluenza sui giorni di degenza, sebbene uno studio abbia dimostrato che in pazienti con ARDS severa l’applicazione precoce di sessioni prolungate di pronazione riduca significativamente la mortalità a 28 e 90 giorni 51 52.
e) “Dialisi” extra-corporea della CO2 (ECCO2R)
Alcuni studi hanno messo in evidenza come in pazienti con una larga quota di polmone interessato dalla patologia causa di ARDS (e quindi con un baby lung molto piccolo), anche l’impiego di un Vt di 6 mL/kg di PBW e di una Pplat non superiore a 25-26 cmH2O possano non essere sufficienti ad evitare fenomeni di iperinflazione e quindi di amplificazione del biotrauma. A tal proposito negli ultimi anni si cerca di minimizzare tale fenomeno con l’impiego di modelli di ventilazione ultra-protettiva (4 mL/kg di PBW) 53. Questa strategia ventilatoria comporta quasi inevitabilmente ipercapnia, acidosi respiratoria e conseguenti alterazioni del microcircolo, quali la vasocostrizione a livello del circolo polmonare (con peggioramento ulteriore degli scambi gassosi per l’aggravarsi dello shunt) e la vasodilatazione ipercapnica cerebrale, particolarmente pericolosa nei pazienti con patologia intracranica.
È di recente introduzione, nella terapia dell’ARDS, un sistema di supporto respiratorio extracorporeo per l’eliminazione della CO2 o ECCO2R che permette di applicare una ventilazione ultra-protettiva.
È di recente introduzione, nella terapia dell’ARDS, un sistema di supporto respiratorio extracorporeo per l’eliminazione della CO2 (“dialisi” extra-corporea) o ECCO2R (Extra-Corporeal CO2 Removal) che permette di applicare una ventilazione ultra-protettiva, senza peraltro incorrere nelle problematiche citate 53-55.
Tale metodica, già applicata in via sperimentale alla fine degli anni ’70 in pazienti affetti da insufficienza respiratoria terminale e ventilati artificialmente con 2-3 atti/m al fine di ridurre il barotrauma 56, utilizza attualmente un circuito veno-venoso a basso flusso di sangue (< 450 mL/min), un catetere vascolare coassiale bilume di 14-18 French, una pompa peristaltica o centrifuga, uno scambiatore di gas a membrana collegato a una fonte di ossigeno (5-10 L/m) o all’aria medicale ed eventualmente un emofiltro (ECCO2R + emofiltrazione) 57 58.
L’ECCO2R è stato proposto sia in pazienti con insufficienza respiratoria acuta ipossiemica severa affetti da ARDS che in pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica-ipercapnica 59 60.
La velocità di rimozione della CO2 in questi sistemi dipende, secondo la legge di Fick, dal flusso di sangue nel circuito, dalla PaCO2, dal flusso di O2 nello scambiatore e dalle proprietà della sua membrana. I limiti all’utilizzo di ECCO2R sono: l’instabilità emodinamica o l’incapacità da parte del paziente a tollerare l’anticoagulazione necessaria al mantenimento della pervietà del circuito. Il grado di evidenza clinica, peraltro, non è attualmente sufficientemente alto da permetterne l’impiego generalizzato 61.
Due trial multicentrici randomizzati e controllati in corso, il SUPERNOVA (ClinicalTrials.govNCT02282657), e il REST (ClinicalTrials.govNCT02654327) potranno fornirci probabilmente un livello di evidenza maggiore sull’utilizzo di una ventilazione ultraprotettiva in associazione all’ECCO2R.
f) ECMO: ossigenazione extra-corporea transmembrana
In caso di una ossigenazione arteriosa che permanga al di sotto dei 70 mmHg nonostante l’attuazione di tutte le strategie a disposizione (ottimizzazione della VAM, manovre di pronazione, ecc.), al fine di garantire un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti, il supporto extracorporeo ad alto flusso (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, ECMO) costituisce l’ultima arma a disposizione del clinico.
In caso di una ossigenazione arteriosa che permanga al di sotto dei 70 mmHg il supporto extracorporeo ad alto flusso costituisce l’ultima arma a disposizione del clinico.
Tale terapia va considerata anche al fine di valutare un possibile trasferimento verso un centro ECMO (ECMO network Italia) di quei pazienti la cui funzione respiratoria stia rapidamente peggiorando 62. Nei casi suddetti si utilizzano circuiti veno-venosi con cannule di grosso calibro (19-29 Fr) in grado di garantire un elevato “flusso-sangue” nell’ossigenatore esterno, capaci di vicariare completamente la funzione polmonare di ossigenazione e rimozione della CO2.
La terapia con ECMO comporta problematiche inerenti scelta e modalità di ventilazione in presenza di un polmone gravemente compromesso, al fine di evitare l’amplificarsi del biotrauma. In assenza di chiare evidenze in tal senso, la strategia maggiormente impiegata attualmente prevede l’impiego di ventilazioni sempre più protettive (2-3 mL/kg di PBW) con PEEP di 12-15 cmH2O e una frequenza respiratoria vicina, se non inferiore, ai valori di un soggetto sano. L’EOLIA trial, attualmente in corso, sicuramente ci darà maggiori evidenze in tal senso (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01470703). In questo ambito si avverte la necessità di ulteriori studi fisiologici su larga scala, che costituiscano l’indispensabile razionale atto a ridurre al minimo il VILI durante l’assistenza extracorporea, così da permettere un recupero funzionale del polmone dopo la risoluzione della causa scatenante l’ARDS.
g) Personalizzazione della ventilazione meccanica
Gli studi attuali sono volti a ricercare metodiche ventilatorie personalizzate non basate sull’applicazione di parametri standard, bensì su misurazioni funzionali del paziente, tali da permettere il più adeguato settaggio del ventilatore.
Nieman et al. in una recentissima review hanno illustrato i vari metodi fisiologici utilizzati in letteratura per il settaggio personalizzato della PEEP al fine di evitare fenomeni di sovradistensione alveolare o atelectrauma 63.
Gli studi attuali sono volti a ricercare metodiche ventilatorie personalizzate basate su misurazioni funzionali del paziente, tali da permettere il più adeguato settaggio del ventilatore.
Allo stato attuale però non sono stati individuati ancora degli strumenti sicuramente efficaci e agevolmente applicabili anche in Centri poco avvezzi alle tecniche di ricerca sperimentale, che permettano di impostare ventilazioni meccaniche totalmente personalizzate sul paziente.
Conclusioni e indicazioni pratiche
Sicuramente dalla prima definizione di ARDS sono stati compiuti enormi sforzi tesi alla comprensione del fenomeno e alla sua gestione clinica. Potremmo riassumere le suddette problematiche come segue.
Il paziente affetto da ARDS presenta una grave insufficienza respiratoria ipossiemica, non correggibile con alti flussi di O2; la ventilazione artificiale, che è attualmente il trattamento standard, può determinare un danno polmonare (VILI) che ne condiziona sfavorevolmente l’outcome. Svariate strategie di trattamento, ventilatorio e non, vengono attualmente applicate al fine di minimizzare il VILI.
Ad oggi possiamo affermare con una buona dose di certezza, dettata dalle numerose evidenze, che i pilastri fondamentali su cui basare un corretto approccio al paziente con ARDS siano riassunti in Figura 3.
Suggerimenti per una corretta gestione dei pazienti con ARDS in ventilazione artificiale: volume tidalico non superiore a 6 mL/kg/peso corporeo ideale con valutazioni frequenti sia della clinica sia delle misure statiche e dinamiche del sistema respiratorio per prevederne l’andamento clinico; applicazione “mandatoria” di una PEEP (con valori elevati nelle forme più gravi); ventilazione in pronazione per i pazienti più gravi e miorisoluzione temporanea; valutazione della responsività alle manovre di reclutamento (pur senza un chiaro livello di evidenza nella loro applicazione routinaria); considerare tempestivamente la possibilità di centralizzare il paziente verso centri ECMO ad elevate specificità ed intensità di cure.
Figure e tabelle
• PaO2/FiO2 tra 300 e 200 con PEEP/CPAP di almeno 5 cmH2O: ARDS “modesta” |
• PaO2/FiO2 tra 200 e 100 con PEEP di almeno 5 cmH2O: ARDS “moderata” |
• PaO2/FiO2 < 100 con PEEP di almeno 5 cmH2O: ARDS “severa” |
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