Commentario
Pubblicato: 2016-10-15

Controllo della TB e paura

U.O.C. Pneumologia, Ospedale “Umberto I” - ASP 8, Siracusa
Università di Messina, Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali
Division of Epidemiology, New York State Psychiatric Institute, Columbia University, New York City, USA
Controllo tubercolosi Stigma Paura Infezione tubercolare latente

Abstract

Di fronte a masse di migranti provenienti da paesi ad elevata endemia tubercolare, i nostri sistemi di allarme entrano in azione e avvertiamo paura. Questa deriva da parecchi fattori, legati alla genetica, alla struttura psicologica e alla cultura. I geni determinano i circuiti neuronali dove, in presenza di una minaccia, si innescano i relativi stimoli nervosi; la cultura ci condiziona nella valutazione dei pericoli, mentre la psicologia ci spinge a comportamenti irriflessi. La paura del contagio è perciò l’espressione di un giudizio immediato che prevale sui meccanismi, più lenti, del pensiero logico-statistico di controllo. Conseguentemente lo stigma nei confronti dei malati rischia di diventare l’unica risposta al pericolo di infezione, pregiudicando così l’efficacia dei controlli. Non è un caso che gli studi sulla riduzione dello stigma abbiano prodotto risultati deludenti e identificato nella paura del contagio il problema preliminare da affrontare. Essa tuttavia può costituire, in prima istanza, una profilassi sui generis per garantire il massimo rigore nel controllo clinico-epidemiologico della tubercolosi.

Articolo

Nella prima parte (“Controllo della TB e modello americano”), la storia attuale della tubercolosi (TB) in Europa era stata messa a confronto con quella americana durante l’epidemia di New York degli anni 1975-1993, evidenziando l’analogo aumento dei flussi migratori.

Questi possono indurre, nelle popolazioni ospitanti, una paura a sua volta quantificabile. È appunto quel che hanno fatto alcuni economisti tramite il “Migration-related Fear Index”. La loro indagine, pur intercettando solo la coda dell’epidemia americana, ha evidenziato come in questo momento storico la paura delle ondate migratorie sia presente nelle popolazioni europee con un peso equiparabile, se non maggiore, rispetto alla paura percepita dagli americani durante l’epidemia di New York e la recessione economica ad essa contemporanea 1.

In presenza di ondate migratorie da paesi ad elevata endemia tubercolare, la paura d’infettarsi porta alla stigmatizzazione del malato.

In presenza di ondate migratorie da paesi ad elevata endemia tubercolare, la paura d’infettarsi porta alla stigmatizzazione del malato. Invero, da una prospettiva evolutiva questa individuazione può essere cognitivamente efficace, in quanto la rapidità di un giudizio sociale ci è più connaturata della lentezza del pensiero riflessivo 2; nondimeno essa pregiudica il controllo della TB 3, tanto che da anni si dibatte su come ridurre il suo stigma, anche se i risultati dei relativi studi sono stati sinora deludenti 4.

La paura del contagio è così diventata un problema preliminare per il quale si impongono nuove strategie 5.

Paura e stigma: un circuito psicologico tra biologia e cultura

Di solito la paura del contagio prevale sulla struttura di controllo delle malattie, per cui lo stigma nei confronti dei malati è spesso l’unica risposta al rischio d’infezione.

Il fenomeno potrebbe spiegarsi con la mancanza d’informazione: l’ignoto fa più paura della realtà conosciuta, e la paura dell’ignoto è una paura ancestrale. Ma anche tra coloro che posseggono un valido background dei meccanismi di diffusione dei germi può svilupparsi lo stigma verso i malati 5: è stato rilevato che la stessa ricerca tisiologica e la prassi clinica talora usano, inspiegabilmente, un “linguaggio stigmatizzante6.

È in gioco dunque quella componente irrazionale della paura, determinata geneticamente, che scatena la reazione di “lotta o fuga” e fa percepire i potenziali pericoli per la vita e la salute indipendentemente dalla logica che lega causa ed effetto. Essa discende inoltre dai propri convincimenti culturali: quando il comportamento dei nostri simili ci appare incomprensibile, i nostri sistemi di allarme entrano in azione. Di qui la stigmatizzazione.

La paura è un fenomeno psicologico strutturale, legato al predominio dell’emotività sulla razionalità e modulato dai propri convincimenti culturali.

La paura è quindi un fenomeno psicologico strutturale, legato al predominio dell’emotività sulla razionalità e modulato dai propri convincimenti culturali. Uno dei più noti filosofi dell’antichità, Epicuro, aveva creduto di trovare un rimedio logico-analitico in grado di vincere la paura più grande, quella della morte: “La morte non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più7. In realtà quel che Epicuro chiama morte non è che il semplice decesso, un evento fisiologico privo della carica emotiva e delle implicazioni esistenziali e culturali che causano la paura della morte. Per questo il suo scarno ragionamento non fa presa sulla nostra mente.

Ultimamente lo psicologo Daniel Kahneman, esperto dei processi decisionali, studiando il pensiero immediato (fast thinking), responsabile di atteggiamenti e scelte dettate dall’emotività, è giunto alla conclusione che questo, in virtù della sua maggiore fluidità cognitiva, ha spesso la meglio su quello logico, riflessivo e sensibile alle statistiche (slow thinking): non si tratterebbe, come si riteneva un tempo, delle emozioni che ostacolano il funzionamento del pensiero, ma di una vera e propria struttura del meccanismo cognitivo, che agisce automaticamente. Ad esempio, se un chirurgo dice al paziente che l’intervento ha successo al novantacinque per cento, il paziente è fiducioso; ma se gli dice che presenta un cinque per cento di rischio, lo mette in apprensione sebbene abbia detto la stessa cosa.

Di fronte a gruppi di migranti provenienti da aree con alta prevalenza di tubercolosi, il pensiero emotivo amplifica i segnali di pericolo in base a stereotipi (ciò che Kahneman chiama representativeness) e non calcola le probabilità di contagio, mentre il pensiero razionale, che dovrebbe controllarlo, rimane inoperoso in quanto la sua azione richiede attenzione, sforzo cognitivo e maggior dispendio energetico (Figura 1).

Le neuroscienze hanno indagato i circuiti neuronali della paura individuando nell’amigdala la sede in cui vengono processati gli stimoli che la scatenano (come, nei primati non umani, la vista di serpenti) e nel nucleo paraventricolare del talamo la sede per la “manutenzione della sua memoria”.

È quindi verosimile che biologia, psicologia e cultura concorrano nell’espressione della paura dei migranti da parte dei cittadini dei paesi che li accolgono. Dobbiamo perciò concludere, su questa base, che non sia possibile “allentare” la morsa della paura, visti anche i deludenti risultati degli studi sul controllo dello stigma? 4

In realtà non è così. Nonostante la paura viaggi lungo reti progettate dai geni, essa può essere modulata sia dall’ambiente che dalla stessa cultura.

Infatti, sapere che le masse di migranti provengono da aree con alta prevalenza di tubercolosi può indubbiamente aumentare i segnali di potenziale pericolo. Se poi i cittadini hanno pure sperimentato numerosi casi di fallimento sanitario nella gestione dei migranti, la tubercolosi e altre malattie infettive possono generare la loro ostilità verso gli immigrati 8. Invece se i cittadini si fidano delle misure di prevenzione e di controllo della TB, questa non influirà sulla loro paura dei migranti 8.

La paura come profilassi

Nei paesi a bassa incidenza di TB, come l’Italia 3, la paura legata ai pregiudizi sugli immigrati può essere sfruttata positivamente, nel breve termine, e fungere da catalizzatore nell’avvio di uno screening tubercolare.

Nei paesi a bassa incidenza di TB la paura legata ai pregiudizi sugli immigrati può essere sfruttata positivamente e fungere da catalizzatore nell’avvio di uno screening tubercolare.

Così, nel 2009, nel centro accoglienza di Bari, lo screening attivo (ovvero Mantoux + Rx torace ai cutipositivi), mai eseguito precedentemente, venne disposto a seguito della morte per tubercolosi polmonare di una rifugiata 24enne, nigeriana, che esercitava la prostituzione nell’hinterland cittadino, e sulla scorta della paura di contagio dei nativi, legata anche alla risonanza mediatica della vicenda. Da allora, a Bari, lo screening attivo è diventato prassi corrente, il che ha permesso di diagnosticare e curare sia i malati conclamati che i paucisintomatici, e di individuare e curare gli infetti. Invece, nel centro accoglienza di Lampedusa, nonostante le centinaia di migranti morte in mare, non è filtrata alcuna paura di contagio per i nativi e si è mantenuta una attività di screening passivo (ovvero TB sospettata quando riferita dai migranti o quando le condizioni dei malati richiedono l’ospedalizzazione); conseguentemente, in assenza di screening tubercolinico/IGRA + Rx torace ed esame colturale dell’escreato 9, è presumibile che i malati paucisintomatici sfuggano alla diagnosi.

Come abbiamo ricordato, alla città di New York occorsero oltre dieci anni di lento incremento dei casi di TB e la convergenza di interessi della classe medio/alta americana, dei medici di famiglia e dei mass-media affinché la paura della malattia venisse dirottata dalla stigmatizzazione del malato alla soluzione della causa attraverso impulsi socio-culturali: i medici convincendo l’Accademia di Medicina a rinforzare il case-finding e la terapia direttamente osservata (DOT e DOPT), i mass-media informando i propri lettori e sollecitando il ripristino della struttura sociale e familiare delle comunità, allo scopo di modificare le condizioni ambientali dove si era sviluppata l’epidemia.

Conclusioni

Gli atteggiamenti degli individui derivano perlopiù dal contesto sociale, in grado di influenzare le loro decisioni e quelle delle collettività locali. Gli agenti sociali, tutelando salute e sicurezza, dovrebbero fornire auspicabilmente utili modelli di comportamento. Del resto, gli esseri umani tendono a imitarsi a vicenda. Ciò può dar luogo tanto alla “gioia contagiosa” dei bambini 10 quanto alla violenza di massa 11.

Se i principali agenti sociali in un paese di accoglienza reagiscono con il benvenuto, la vista di persone di diversa etnia, anche se provenienti da aree ad alto rischio TB, non susciterà automaticamente atteggiamenti di rifiuto.

Se i principali agenti sociali in un paese di accoglienza reagiscono con il benvenuto, la vista di persone di diversa etnia, anche se provenienti da aree ad alto rischio TB, non susciterà automaticamente atteggiamenti di rifiuto 8.

Occorre evitare un’eccessiva semplificazione del controllo tubercolare, anche in considerazione della paucisintomaticità della TB.

Certo, occorre evitare un’eccessiva semplificazione del controllo tubercolare, anche in considerazione della paucisintomaticità della TB 9. Un malato paucisintomatico, ma già contagioso, non rappresenta soltanto una minaccia remota, ma può diffondere realmente l’infezione (LTBI). In tal senso anche il mondo letterario dà utili spunti sul carattere subdolo della malattia: lo scrittore Albert Camus l’aveva definita una malattia metafisica. Camus, da giovane, aveva confessato ad un amico: “… la tubercolosi è una malattia metafisica, perché il malato può ignorare a lungo di esserlo, mentre solo i sintomi improvvisi, le emoftoe, lo possono richiamare alla realtà …”. E ancor prima Thomas Mann descrivendo l’arrivo di Giovanni Castorp, già malato, al sanatorio di Davos, sintetizzava lo stesso concetto nelle parole di congedo del dottor Krokowski “… Be’! buona notte, signor Castorp, dorma tranquillo nella piena consapevolezza della sua intatta salute!

Per questo, in attesa di nuovi risultati della ricerca capaci di rompere l’automatismo paura-stigma, ci sembra utile, intanto, far leva sulle descritte paure per assicurare il massimo rigore nel controllo clinico-epidemiologico della TB. Il suo futuro vedrà ancora protagonista la tisiologia se essa, integrando i fattori sociali e neuropsicologici con l’azione diagnostica e terapeutica, saprà superare la miopia del riduzionismo biologico.

Figure e tabelle

Figura 1.Ipotesi di Kahneman sovrapposta al circuito neurale della paura. La vista del migrante è lo stimolo innescato nell’amigdala e interpretato come paura attraverso un giudizio stereotipico (fast thinking) non modulato dal pensiero logico (slow thinking).

Riferimenti bibliografici

  1. Baker SR, Bloom N, Davis SJ. Immigration fears and policy uncertainty. VoxEU.org15/12/2015, visitato il 17 luglio. 2016.
  2. Griffith JL, Kohrt BA. Managing stigma effectively: what social psychology and social neuroscience can teach us. Acad Psychiatry. 2016; 40:339-47.
  3. Faccini M, Cantoni S, Ciconali G. Tuberculosis-related stigma leading to an incomplete contact investigation in a low-incidence country. Epidemiol Infect. 2015; 143:2841-8.
  4. Heijnders M, Van Der Meij S. The fight against stigma: an overview of stigma-reduction strategies and interventions. Psychol Health Med. 2006; 11:353-63.
  5. Cremers AL, de Laat MM, Kapata N. Assessing the consequences of stigma for tuberculosis patients in urban Zambia. PLoS ONE. 2015; 10:1-16.
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  7. Epicuro. In: Opere. Einaudi: Torino; 1973.
  8. Wallace R, Fullilove M. Collective consciousness and its discontents: institutional distributed cognition, racial policy, and public health in the United States. Springer: New York USA; 2008.
  9. Assael R, Cervantes J, Barrera G. Smears and cultures for diagnosis of pulmonary tuberculosis in an asymptomatic immigrant population. Int J Gen Med. 2013; 6:777-9.
  10. Sherman L. An ecological study of glee in small groups of pre-school children. Child Dev. 1975; 46:53-61.
  11. Raafat R, Chater N, Frith C. Herding in humans. Trends Cogn Sci. 2009; 13:420-8.

Affiliazioni

Salvatore Rossitto

U.O.C. Pneumologia, Ospedale “Umberto I” - ASP 8, Siracusa

Pietro Emanuele

Università di Messina, Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali

Deborah N. Wallace

Division of Epidemiology, New York State Psychiatric Institute, Columbia University, New York City, USA

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2016

Come citare

Rossitto, S., Emanuele, P., & Wallace, D. N. (2016). Controllo della TB e paura. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 31(5), 235-238. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2016-31-57
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