Serie - “Approccio personalizzato in Medicina Respiratoria”
Pubblicato: 2015-12-15

Medicina personalizzata e fibrosi polmonare idiopatica

Centro per le Malattie Rare del Polmone (MaRP), Dipartimento di Oncologia, Ematologia e Patologie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
Centro per le Malattie Rare del Polmone (MaRP), Dipartimento di Oncologia, Ematologia e Patologie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
Fibrosi polmonare idiopatica Predisposizione Diagnosi Monitoraggio Terapia Medicina personalizzata

Abstract

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una forma di polmonite interstiziale fibrosante a causa sconosciuta, che insorge prevalentemente in età avanzata, limitata al polmone ed associata ad un pattern anatomo-patologico e/o radiologico di Usual Interstitial Pneumonia (UIP). La prognosi della malattia nel singolo paziente è sostanzialmente imprevedibile, in quanto si caratterizza per una notevole eterogeneità. Predirne l’evoluzione e la risposta al trattamento risulta molto difficile, anche se sarebbe molto utile. Negli ultimi dieci anni, con l’ampia diffusione di utilizzo di metodiche quali la proteomica e la genomica, abbiamo assistito ad un notevole miglioramento delle conoscenze relative alla patogenesi della malattia con conseguente identificazione di vari target terapeutici e di diversi biomarcatori. Si avverte oggigiorno l’esigenza di identificare biomarcatori molecolari, in quanto possono facilitare lo sviluppo di nuovi farmaci, la diagnosi precoce, la previsione della prognosi, il miglior trattamento farmacologico. Nonostante non ne siano ancora disponibili di validati nell’IPF, alcuni di questi sono vicini a raggiungere tale risultato e potranno avere un ruolo chiave quali “predittori clinici” da associare ai parametri utilizzati oggigiorno nella pratica clinica quotidiana.

Introduzione

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una forma di polmonite interstiziale fibrosante a causa sconosciuta, che insorge prevalentemente in età avanzata, limitata al polmone ed associata ad un pattern anatomo-patologico e/o radiologico di Usual Interstitial Pneumonia (UIP) 1. La maggior parte di questi pazienti presenta una spettanza di vita che oscilla dai 3 ai 5 anni dal momento della diagnosi; tuttavia una parte va incontro ad una rapidissima evoluzione che li conduce a morte nel giro di mesi; altri presentano una relativa stabilità nel tempo. Inoltre, indipendentemente dal loro andamento clinico, i pazienti affetti da IPF possono andare incontro ad episodi di declino accelerato – possono cioè riacutizzarsi – con insorgenza di insufficienza respiratoria acuta che spesso conduce a morte il paziente 2. È quindi ipotizzabile che esistano diversi fenotipi di IPF. Tuttavia, per la mancanza di fattori e/o biomarcatori in grado di prevedere la prognosi, la storia naturale di questa malattia è in gran parte impredicibile nel singolo paziente 3 (Figura 1).

Nonostante siano attualmente disponibili diversi “indici compositi” a cui viene attribuito un valore prognostico, essi non rendono conto dei vari meccanismi molecolari che determinano la cascata di eventi che porta allo sviluppo della fibrosi nei singoli pazienti 4-6. Questa problematica costituisce una significativa limitazione alla personalizzazione della cura e costituisce uno dei principali obiettivi dell’attuale ricerca clinica.

Il termine medicina personalizzata (MP) è spesso usato con il significato ristretto che le assegnano i farmacologi, cioè legato alla prescrizione di specifici farmaci – utili nel singolo paziente – sulla base delle informazioni fornite dalla farmacogenetica e dalla farmacogenomica 7. La definizione contiene più in generale il concetto della individualizzazione dell’intervento medico sulla base delle caratteristiche specifiche di ciascun paziente, ma anche quello del fondamento dell’individualizzazione sulle caratteristiche genetiche dell’individuo, attraverso una diagnostica basata sulla genomica ed una terapeutica rivolta a bersagli geneticamente definiti, talora geni stessi. Il primo gradino della MP è l’identificazione di biomarcatori.

La disponibilità di biomarcatori risulta di particolare importanza essendo oggi prescrivibili farmaci in grado di ridurre il declino funzionale dei pazienti con IPF.

L’IPF potrebbe avvantaggiarsi dall’utilizzo della MP per quanto riguarda l’identificazione dei soggetti a rischio di sviluppare la malattia, per comprendere meglio la patogenesi, per giungere ad una diagnosi senza l’utilizzo di metodiche invasive, per valutare la risposta al trattamento e per tentare di predire la prognosi. In particolare oggigiorno che sono disponibili farmaci in grado di ridurre il declino funzionale dei pazienti affetti da IPF 8 9, la disponibilità di biomarcatori diagnostici ed in grado di predire la prognosi risulta di particolare importanza.

Scopo di questa revisione è quello di riassumere le evidenze scientifiche relative ai principali biomarcatori che sono stati valutati nella complessa patogenesi che porta alla formazione della fibrosi polmonare, di valutare attraverso quali meccanismi questi biomarcatori siano rilevanti nella progressiva cascata fibrotica che si osserva nell’IPF ed in che modo la loro misura possa impattare la diagnosi, la prognosi ed il trattamento.

Farmaci attualmente disponibili

Negli ultimi anni sono stati effettuati studi clinici che hanno valutato l’efficacia di nuove molecole dotate di azione antifibrotica, in particolare il pirfenidone ed il nintedanib.

Negli ultimi anni sono stati effettuati studi clinici che hanno valutato l’efficacia di nuove molecole dotate di azione antifibrotica, in particolare il pirfenidone ed il nintedanib.

L’efficacia del pirfenidone è stata studiata in 5 studi clinici 9-12 che mostrano un significativo impatto del farmaco sulla capacità vitale forzata (FVC) e sulla progression-free survival rispetto al placebo. Gli studi che hanno valutato l’efficacia del nintedanib 8 13 hanno anch’essi dimostrato un significativo effetto sul declino della FVC rispetto al placebo. Si è inoltre osservata una riduzione del rischio di riacutizzazioni della malattia.

In Italia, la prescrizione del pirfenidone è consentita a pazienti con diagnosi di IPF che presentino valori di FVC ≥ 50% del predetto e di diffusione del CO (DLCO SB) ≥ 35%. Il nintedanib – allo stato attuale non commercialmente disponibile ma somministrabile in “uso compassionevole” – non presenta tali limitazioni di gravità.

Inoltre, i due farmaci presentano un profilo farmacocinetico diverso e con diversi effetti indesiderati.

Il pirfenidone viene principalmente metabolizzato a livello epatico, attraverso il citocromo (CYP) 450 CYP1A2. Gli inibitori completi di CYP1A2, quali la fluvoxamina, sarebbero quindi incompatibili con l’assunzione del farmaco 14; la somministrazione di inibitori parziali di CYP1A2 – fra cui la ciprofloxacina e l’amiodarone – dovrebbero portare a considerare la riduzione del dosaggio del farmaco. Gli induttori di CYP1A2 – compresi il fumo di sigaretta e l’omeprazolo – potrebbero ridurne i livelli sierici e non dovrebbero quindi essere somministrati. I pazienti con epatopatia di grado lieve-moderato possono essere trattati con il pirfenidone, ma devono essere sottoposti ad un attento monitoraggio. È viceversa controindicato in pazienti con epatopatia grave. Il farmaco può essere prescritto nei pazienti con insufficienza renale, ma risulta tuttavia controindicato nei pazienti con nefropatia end-stage e comunque in quelli che hanno un filtrato glomerulare < 30 ml/min. Non è richiesto un aggiustamento del dosaggio in rapporto all’età, al sesso, alla razza ed alle dimensioni corporee 14 15. Il pirfenidone si può associare ad effetti collaterali, in particolare gastrointestinali e cutanei, questi ultimi comprendono le manifestazioni legate alla fotosensibilità ed i rush cutanei.

Il metabolismo epatico del nintedanib è indipendente dal CYP450, sebbene il CYP3A4 abbia un ruolo minore nel metabolismo del farmaco 15. Il nintedanib è anche un substrato della glicoproteina-P (P-gp), quindi i farmaci che presentano un’interferenza con P-gp e con l’attività di CYP3A4 possono modificare i livelli sierici del farmaco. Pertanto, i pazienti che assumono farmaci in grado di inibire P-gp e CYP3A4 (quali il ketoconazolo e l’eritromicina) vanno monitorati in quanto potrebbero aumentare le concentrazioni sieriche del nintedanib, e quindi possono richiedere un aggiustamento della dose o la sospensione del farmaco 15. Viceversa gli induttori di P-gp e CYP3A4 – quali la rifampicina, la carbamazepina e la fenitoina – dovrebbero essere evitati perché riducono le concentrazioni sieriche del farmaco 15.

I pazienti che presentano un’epatopatia di grado lieve possono assumere il farmaco; è tuttavia richiesto uno stretto monitoraggio della funzionalità epatica; il farmaco non deve essere somministrato a pazienti con epatopatia moderata o grave. Non è richiesto un aggiustamento del dosaggio in caso di insufficienza renale lieve o moderata; se grave, la sicurezza e l’efficacia del farmaco non è dimostrata.

Gli effetti collaterali gastrointestinali comprendono la nausea, il dolore addominale, il vomito e la diarrea, quest’ultima ha colpito circa il 60% dei pazienti trattati con nintedanib nei trial clinici di fase III 8 13, ma soltanto in meno del 5% dei pazienti si è dovuto sospendere il farmaco per tale effetto collaterale 8; negli stessi studi un aumento delle transaminasi è insorto nel 5% dei pazienti, senza osservare mai l’insorgenza di insufficienza epatica.

Episodi di tromboembolia arteriosa si sono osservati nel 2,5% dei pazienti trattati con nintedanib vs lo 0,8% tra i pazienti in placebo: bisogna quindi prestare attenzione nel somministrare il farmaco in pazienti con patologie cardiovascolari o fattori di rischio per quest’ultime. Si impone invece la sospensione del farmaco in pazienti che manifestino infarto miocardico acuto 15.

Un lieve aumento dei sanguinamenti si è inoltre osservato nei pazienti in trattamento con nintedanib, che non dovrebbe pertanto essere somministrato in pazienti in terapia anticoagulante a dosaggio terapeutico o con una storia di sanguinamento clinicamente rilevante 15.

Biomarcatori associati a danno e/o disfunzione cellulare

Krebs von den Lungen-6

Krebs von den Lungen-6 (KL-6) è una glicoproteina che viene espressa sulla superficie extracellulare degli pneumociti di tipo II e delle cellule epiteliali bronchiolari in fase rigenerativa. A seguito di un danno alle cellule epiteliali, KL-6 stravasa nel torrente circolatorio, dove risulta misurabile, agendo come fattore chemotattico e promuovendo la migrazione, la proliferazione e la sopravvivenza dei fibroblasti polmonari 16 17.

Rispetto ai volontari sani, le concentrazioni sieriche di KL-6 risultano significativamente più elevate nei pazienti affetti da IPF 18; tuttavia la specificità di questo biomarcatore è limitata, poiché si sono riscontrati elevati livelli sierici anche in pazienti affetti da altre pneumopatie infiltrative diffuse (PID), fra cui la non-specific interstitial pneumonia (NSIP), l’interessamento polmonare in corso di sclerodermia e la polmonite da ipersensibilità 19 20. Inoltre si sono riscontrati elevati livelli sierici anche in pazienti affetti da altre pneumopatie, quali il cancro del polmone e la tubercolosi 21 22.

KL-6 è stato studiato anche come biomarcatore prognostico in diverse PID 23: i pazienti con i più elevati livelli sierici di tale molecola presentavano la prognosi peggiore. Tuttavia, quando il potere prognostico di KL-6 è stato studiato prospetticamente in studi clinici randomizzati esso non si è dimostrato capace di correlare con la risposta al trattamento 10 11.

Questi risultati evidenziano che – nonostante KL-6 possa indicare una prognosi infausta in pazienti affetti da PID – sono necessari ulteriori studi per stabilirne un ruolo prognostico nell’IPF.

Proteine del surfattante

Il surfattante polmonare è una miscela di fosfolipidi e proteine strutturali sintetizzata dagli pneumociti di tipo II. Riveste come una sottile pellicola la parete interna degli alveoli e svolge il ruolo fondamentale di ridurre la tensione superficiale all’interfaccia aria-liquido, prevenendo così il collasso alveolare nella fase di espirazione del ciclo respiratorio.

Le proteine del surfattante A (SP-A) e D (SP-D) sono state estensivamente studiate sia a scopo diagnostico che prognostico in pazienti con PID. Alterazioni dei geni che codificano per SP-A1 e SP-A2 sono associate a forme familiari di IPF, suggerendone un importante ruolo patogenetico 24. Inoltre, sia la SP-A che la SP-D sono significativamente aumentate nel siero dei pazienti affetti da IPF rispetto ai volontari sani 25. I livelli sierici di tali proteine nell’IPF risultano elevati così come lo sono in pazienti affetti da altre PID. Nonostante l’evidenza dimostri che i livelli sierici sono più elevati in corso di IPF esse hanno uno scarso significato diagnostico 25.

Aumentati livelli sierici sia di SP-A che SP-D al momento della diagnosi sono stati associati a maggiore mortalità e alla necessità di trapianto polmonare.

D’altro canto, aumentati livelli sierici sia di SP-A che SP-D al momento della diagnosi sono stati associati a maggiore mortalità e alla necessità di trapianto polmonare.

Telomeri

Sono regioni del DNA all’estremità molecolare di un cromosoma lineare, necessari per la corretta replicazione e per la stabilità del cromosoma stesso. Queste sequenze proteggono le estremità cromosomiche dalla degradazione e da eventi di fusione, permettono la replicazione completa dei cromosomi, compreso il ripristino di ripetizioni terminali semplici di caratteristica lunghezza, e posizionano i cromosomi all’interno del nucleo; inoltre, in alcune specie, promuovono la formazione di domini di cromatina che sono trascrizionalmente repressi 26. Una telomerasi – un complesso ribonucleoproteinico che comprende un enzima, una transcriptasi inversa (TERT: telomerase reverse transcriptase) ed una sequenza di un RNA primer (TERC: telomerase RNA component) - protegge la parte terminale dei cromosomi dalla degradazione. Quando i telomeri si accorciano oltre una certa dimensione, vengono attivate le vie metaboliche che conducono la cellula all’apoptosi ed alla senescenza 26.

Mutazioni di TERT o TERC sono presenti nell’8-15% delle forme familiari di IPF, il che permette di ipotizzare un link patogenetico fra l’accorciamento dei telomeri e la fibrosi polmonare.

Mutazioni di TERT o TERC sono presenti nell’8-15% delle forme familiari di IPF, il che permette di ipotizzare un link patogenetico fra l’accorciamento dei telomeri e la fibrosi polmonare 27 28. Il riscontro di telomeri corti è una comune osservazione in pazienti affetti da IPF: infatti circa il 25% dei pazienti affetti da tale malattia presenta un accorciamento dei telomeri nei leucociti circolanti al di sotto del 10° percentile 29. Tuttavia, l’utilità di tale biomarcatore nella diagnosi di IPF è limitata dalla scarsa specificità: telomeri corti sono presenti in corso di altre malattie fumo-indotte, in particolare nella BPCO 30.

Mucina 5b

Nel 2011 fu identificato un polimorfismo nella regione del promotore del gene della mucina 5b (MUC5B) –sul braccio corto del cromosoma 11 – che risulta frequentemente associato sia alla forma sporadica che familiare di IPF. Tale associazione costituisce un raro esempio di comune variante genetica con un grande effetto genetico, essendo stata riscontrata nel 31-42% dei pazienti affetti da IPF 31-33. Nonostante la recente identificazione, l’associazione fra la variante del promoter di MUC 5B e l’IPF è il dato più riproducibile sia nelle coorti americane che europee 31 34. Tuttavia più del 20% dei controlli che possedevano questo polimorfismo, non hanno sviluppato fibrosi polmonare. Non si è osservata alcuna associazione con la sclerodermia e la sarcoidosi 35.

La variante del promotore del gene MUC5B sembra avere un significato prognostico, in quanto si associa ad una ridotta mortalità quando si confronta con la forma wilde-type.

La variante del promotore del gene MUC5B sembra avere pure un significato prognostico, in quanto si associa ad una ridotta mortalità quando si confronta con la forma wilde-type 36. Questa osservazione è indipendente da fattori clinici e migliora significativamente la mortalità quando tale parametro è inserito in uno score che predica l’andamento clinico di questi pazienti 36.

Biomarcatori associati al rimodellamento della matrice extracellulare e alla fibroproliferazione

Metalloproteinasi della matrice (MMP)

Sono una famiglia di proteasi che giocano un importante ruolo nella patogenesi dell’IPF regolando il turnover della matrice extracellulare, il metabolismo di alcune chemochine, la migrazione cellulare e l’attivazione di svariati mediatori 37. Risultano espresse a basso titolo nell’individuo sano, risultano viceversa aumentate nell’IPF 38. MMP-1 è responsabile della degradazione delle fibrille di collagene ed è aumentata sia nel tessuto che nel BAL dei pazienti con IPF; anche le concentrazioni sieriche di tale MMP sono aumentate rispetto a quelle dei pazienti affetti da alveolite allergica estrinseca, sarcoidosi e BPCO 39.

La MMP-7 è la componente di più piccole dimensioni ed è in grado di degradare diversi componenti della matrice extracellulare; per tale motivo si ritiene che abbia un ruolo centrale nell’insorgenza della fibrosi. È stato dimostrato che la carenza di MMP-7 nel modello animale non determinava l’insorgenza di fibrosi 40. Viceversa, le concentrazioni di tale molecola risultano elevate nel siero dei pazienti affetti da IPF rispetto a pazienti affetti da polmonite da ipersensibilità, sarcoidosi e BPCO 39. Presenta invece sia nel BAL che nel tessuto polmonare concentrazioni del tutto simili a quelle osservate in altre PID 41 42. In un recente studio, è stato analizzato prospetticamente il valore prognostico di 95 potenziali biomarcatori in una coorte di derivazione di 140 pazienti. La successiva analisi di tali biomarcatori in una coorte di validazione ha dimostrato che la più lunga sopravvivenza dopo trapianto polmonare correlava in modo inverso con i livelli di MMP-7 43. Infine, in un trial clinico che ha arruolato 438 pazienti, MMP-7 è risultata un predittore indipendente di sopravvivenza in un modello che includeva parametri clinici ed il genotipo per MUC5B, consolidando ulteriormente il ruolo di questa molecola come biomarcatore prognostico che può essere impiegato nella pratica clinica 36.

Periostina

La periostina è una proteina della matrice extracellulare, che promuove la deposizione della matrice stessa, la proliferazione delle cellule mesenchimali e la fibrosi parenchimale 44. Le cellule epiteliali bronchiali secernono periostina in risposta all’interleuchina-13 (IL-13) 45. L’espressione tissutale di periostina è maggiore nei pazienti affetti da IPF quando confrontata con i controlli e con pazienti affetti da altre PID. Essa è inoltre elevata nel siero dei pazienti con IPF ove correla con la progressione di malattia 45.

I modelli animali hanno dimostrato che i topi che non presentano periostina sono protetti dallo sviluppo della fibrosi 46.

Queste osservazioni sperimentali hanno portato all’implementazione di uno studio clinico randomizzato che valuta l’utilizzo di un anticorpo monoclonale diretto contro IL-13 in pazienti con IPF, in cui verrà anche valutato l’impatto della periostina sia come marcatore sia come target terapeutico.

Osteopontina

È una glicoproteina fosforilata con funzioni di riparazione tissutale 47. Modelli animali hanno dimostrato che questa molecola promuove la migrazione, l’adesione e la proliferazione dei fibroblasti; per tale ragione è ipotizzabile un suo ruolo nella patogenesi dell’IPF 48, peraltro dimostrabile pure nell’uomo 49: infatti l’osteopontina incrementa l’espressione di MMP-7 nelle cellule epiteliali alveolari nei polmoni dei pazienti con IPF 49. Tale molecola risulta inoltre elevata nel siero e nel BAL dei pazienti con IPF rispetto ai controlli 49, anche se tali concentrazioni sono simili in altri pazienti affetti da altre PID.

Biomarcatori associati ad alterazioni del sistema immune

CC chemokine ligand 18 (CCL18)

Stimola la produzione di collagene e la differenziazione in fibroblasti. È prodotta dai macrofagi alveolari, è aumentata in diverse pneumopatie ad evoluzione fibrotica, quali l’IPF, la sarcoidosi e la sclerodermia. Risulta elevata nel siero e nel BAL dei pazienti con IPF rispetto ai controlli 50. Un aumento di CCL18 correla con la capacità polmonare totale e la diffusione del CO; inoltre il dosaggio seriale di tale proteina correla con tutti i parametri della funzione ventilatoria. Prasse et al. hanno studiato prospetticamente la relazione fra livelli sierici di CCL18 e la funzionalità ventilatoria in una coorte di pazienti affetti da IPF, dimostrando che i livelli di CCL18 al momento dell’arruolamento nello studio correlavano con il successivo declino della funzione ventilatoria. Una concentrazione nel siero > 150 ng/mL si associava alla morte del paziente 51.

Toll-like receptor 3

Il toll-like receptor 3 (TLR3) è un recettore che media la risposta determinata dall’immunità innata in corso di danno tissutale, infiammazione od infezione. O’Dwyer et al. hanno osservato che i fibroblasti polmonari in corso di IPF – che sono omo- od etero-zigoti per l’allele della variante funzionale del TLR3 Leu412Phe – mostrano una risposta deficitaria all’IFN-Beta ed un’aumentata proliferazione dei fibroblasti a seguito di stimolazione con TLR3 52. Inoltre, la presenza di tale mutazione aumenta marcatamente il rischio di progressione della malattia e di mortalità in pazienti con IPF. Pertanto, tale mutazione può essere utilizzata quale marcatore di rapida progressione della malattia.

Toll-interacting protein (TOLLIP)

Questo gene codifica per una proteina che interagisce con varie molecole facenti parte della via metabolica dei toll-like receptor. Tale proteina modula le vie metaboliche che regolano l’infiammazione, in particolare quella dell’interleuchina-1 53. Nuove varianti di questo gene si associano alla suscettibilità all’IPF. Inoltre, una nuova variante di TOLLIP, la rs5743890, si associa alla mortalità 33. Infine, si è osservato che la N-Acetilcisteina può essere efficace nei pazienti affetti da IPF che presentano il genotipo rs3750920 (TOLLIP) TT 54.

Immunità acquisita ed infiammazione nella fibrosi polmonare idiopatica

Nonostante l’infiammazione non costituisca un elemento preponderante nelle biopsie dei pazienti affetti da IPF, non si può ignorare che essa sia riscontrabile e che talune molecole possano costituire degli utili marcatori per stratificare i pazienti e per strategie terapeutiche future. In particolare, autoanticorpi diretti contro la heat shock protein 70 (HSP70) sono stati ritrovati nel 25% dei pazienti affetti da IPF (contro il 3% dei controlli) 55 e potrebbero essere associati a peggioramento della funzione ventilatoria e della sopravvivenza.

La chemochina CXCL13 è coinvolta nella patogenesi di diversi disordini immunologici in quanto ha un ruolo chiave nell’attrarre linfociti B nei follicoli linfoidi e nelle sedi di infiammazione. I livelli circolanti di CXCL13 sono elevati nell’IPF, in particolare quando è presente ipertensione polmonare 56. Anche i pazienti con una riacutizzazione di IPF presentano concentrazioni elevate di tale chemochina, che si associa comunque ad una ridotta sopravvivenza 56.

I linfociti T sono il tipo cellulare mononucleato maggiormente rappresentato nei pazienti con IPF e correlano con la gravità della malattia e con una ridotta sopravvivenza 57. Il livello di espressione dei geni che si associano al segnale co-stimolatorio nel corso dell’attivazione delle cellule T si è dimostrato in grado di predire la prognosi in 2 coorti di pazienti con IPF 58. Inoltre l’accumulo di linfociti CD8+ nell’interstizio polmonare e la riduzione di linfociti T CD4+ correlano entrambi con la progressione della malattia 59.

I biomarcatori descritti nella presente review ed il loro potenziale significato clinico sono riassunti nella Tabella I.

Conclusioni

Negli ultimi 20 anni sono stati identificati diversi biomarcatori potenzialmente in grado di valutare la predisposizione alla malattia, diagnostici, terapeutici e prognostici nell’IPF, ma nessuno è stato finora validato per la pratica clinica.

Negli ultimi 20 anni sono stati identificati diversi biomarcatori ma nessuno è stato finora validato per la pratica clinica.

È necessario pertanto proseguire nel loro approfondimento, utilizzando studi disegnati ad hoc al fine di determinarne il loro ruolo nei diversi aspetti della malattia.

Figure e tabelle

Figura 1.Storia naturale della fibrosi polmonare idiopatica (da Ley et al., 2011 3, mod.).

Correla con:
Biomarcatore Predisposizione Diagnosi Prognosi Terapia
• Marker genomici SP-A, SP-C, SP-DSPCMUC5BTERT/TERCLunghezza telomeriTLR3TOLLIP ++++++ + ++++ +
• Alterazione delle cellule epiteliali alveolari KL-6SP-ASP-D +++ +++
• Proliferazione fibroblasti e deposizione della matrice MMP-7MMP-1PeriostinaOsteopontina + ++ ++++
• Alterazioni sistema immunitario CCL-18CXCL-13 ++
Tabella I.Biomarcatori nella IPF.

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Affiliazioni

Stefania Cerri

Centro per le Malattie Rare del Polmone (MaRP), Dipartimento di Oncologia, Ematologia e Patologie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena

Fabrizio Luppi

Centro per le Malattie Rare del Polmone (MaRP), Dipartimento di Oncologia, Ematologia e Patologie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2015

Come citare

Cerri, S., & Luppi, F. (2015). Medicina personalizzata e fibrosi polmonare idiopatica. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 30(6), 327-334. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2015-30-66
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