Aspetti psicologici e gestione non farmacologica della dispnea in cure palliative
Abstract
Il paziente in cure palliative a seguito delle numerose crisi di dispnea presenta spesso un quadro che ricalca
quello del forte rischio di traumatizzazione. Si rileva a volte l’evoluzione in un Disturbo Post Traumatico da
Stress (PTSD) o in configurazioni simili sottosoglia. Il cambiamento dell’immagine corporea e la perdita dei
riferimenti psichici fondamentali fanno sì che la dispnea e la patologia sottostante vadano intese secondo
un’interfaccia di fattori bio-psico-sociali. Il lavoro psicologico nei setting palliativi, specificamente con i pazienti
pneumologici, si configura come un intervento che avvalendosi di tecniche meditative e di rilassamento
può agire sulla componente psicogena della dispnea.
Caso clinico
Claudio ha 65 anni, capelli argento, sul volto la testimonianza di una grande bellezza, rughe sapientemente diffuse dalla natura, occhi cerulei e intensi. Una moglie, due figlie, un fratello gemello che gli ricorda com’era. Cinque anni fa la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Chiuso in se stesso vive tutto il giorno su una poltrona, da cui continua a tener stretto il suo ruolo di sempre. Al progredire della malattia, diventa sempre più diffidente verso le équipe dei curanti. Ha rifiutato l’idea della PEG e della tracheotomia, ha il terrore che qualcuno gli riveli l’insostenibile e che arrivi il momento in cui l’insufficienza respiratoria sarà per lui ingestibile. L’équipe palliativa lo conosce così, disartria mista, inizio di disfagia, una percezione di dolore e dispnea all’ESAS (Edmonton Symptom Assessment System) pari a 9/10. Ha sempre accanto la macchina per la tosse e la NIV, la notte e il giorno anche con saturazione buona. Manifesta disturbi del sonno, ansia e deflessione timica, gli allarmi dei macchinari accesi, anche se non indossati, suonano sempre. È evidente che per Claudio la componente psicogena della dispnea è forte. “Avanti Claudio, guarda, la saturazione è buona, proviamo a staccare la maschera!” così improvvisamente il medico in buona fede vuole dimostrargli che ce la fa autonomamente, ma il panico si impossessa del paziente e la saturazione scende. Lo psicologo dalla stanza vicina in hospice viene fatto chiamare, entra e lo trova così: occhi impauriti, respiro affannoso, sguardo fisso al saturimetro che scende. Tutto ciò non è la prassi, ma prima di attaccare la NIV per qualche istante nel suo sguardo si intravede anche la speranza di farcela da solo. “Guardami per un attimo Claudio, proviamo insieme a rallentare il respiro, posso appoggiare per un istante leggermente la mano qui sul tuo petto? Respiriamo insieme”, occhi negli occhi inizia prima un esercizio di consapevolezza del respiro (mindfulness), poi una visualizzazione guidata. Il saturimetro risale, il respiro si regolarizza, Claudio chiude gli occhi, la NIV rimarrà staccata per tutto il pomeriggio. Inizia la prima di una lunga serie di incontri in cui si alternano il training autogeno, la pratica di mindfulness, le visualizzazioni guidate. Claudio lotta e si abbandona, il corpo lo imprigiona, la mente gradualmente si libera, la dispnea psicogena diminuisce e appare la richiesta di visualizzazioni di luoghi di pace. Innumerevoli crisi dispnoiche hanno prostrato Claudio e la sua famiglia, impotenza e terrore serpeggiano e delineano un quadro spesso comune nei pazienti con Insufficienza Respiratoria Cronica (IRC).
La prima crisi di dispnea rimane impressa nella memoria indelebilmente, disegnando gradualmente all’arrivo delle successive un quadro che per molti aspetti ricalca quello delle persone a forte rischio di traumatizzazione. Sovente i pazienti con IRC evolvono in un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) 1 o manifestano configurazioni simili sottosoglia, che riportano i caratteri specifici del trauma: minaccia alla vita e all’integrità psicofisica, evocazione di vissuti di pericolo, vulnerabilità e perdita di controllo, reazioni emotive forti con elevati arousal ed evitamenti nella vita quotidiana. Il cambiamento dell’immagine corporea e la perdita dei riferimenti psichici fondamentali fanno sì che l’IRC, insieme alla patologia sottostante soprattutto in cure palliative, debba essere intesa come frutto dell’interfacciarsi di fattori bio-psico-sociali 2. Il trauma psichico consiste in un’azione, improvvisa o ripetuta, che risulta lesiva perché non sono pronte le difese necessarie alla protezione da un avvenimento schiacciante, che non può essere compreso ed elaborato.
Il lavoro psicologico nei vari setting palliativi, specificamente con i pazienti pneumologici, si configura come un intervento per ripristinare la sicurezza, la stabilizzazione dei sintomi ansiosi, la modulazione affettiva, l’integrazione delle memorie traumatiche. In questo senso le tecniche meditative e di rilassamento sono un aiuto fondamentale integrabile agli altri interventi terapeutici.
La sede polmonare ha una sua peculiarità su un versante psichico: nel paziente si sviluppano fantasie di morte imminente, angosce di asfissia, di tosse dolorosa, spesso amplificazioni di sintomi fisici presenti.
I disturbi del sonno insorgono come tentativo di controllo della sintomatologia, come reazione alle paure di soffocamento; inoltre questi aspetti ansiosi sono presenti anche nei familiari, nei quali l’impotenza causa un senso di impreparazione nel fornire aiuto.
In tale ambito, le tecniche meditative e di rilassamento permettono di ridurre considerevolmente stress, ansia, depressione, oltre a sintomi associati nel paziente a malattie croniche terminali quali difficoltà respiratorie, nausea e vomito. Volendo ampliare alla dispnea il concetto di neuromatrice che Melzack elabora rispetto al dolore, consideriamo la zona nella corteccia cerebrale, composta da una fitta rete di neuroni che genera autonomamente la formazione di una mappa cerebrale, ovvero un’immagine mentale del corpo. Su tale mappa il cervello proietta i vari segnali che danno forma e consistenza al dolore (ma verosimilmente anche alla dispnea) fatto di sensazioni fisiche, psichiche, sociali; questo spiegherebbe perché la sensazione di dolore sia squisitamente individuale e lo stesso si potrebbe ipotizzare per la dispnea 3.
Le tecniche di rilassamento e meditative mirano ad un accrescimento delle risorse mentali del soggetto aiutandolo nel confronto con la situazione critica, aumentando il senso di controllo attraverso l’esperienza degli stati di coscienza alterati intermedi tra sonno e veglia, in cui poter sperimentare una realtà sensoriale diversa 4. Nel 1994 Porges comincia a parlare di teoria polivagale, riferendosi ai molti rami del nervo vago che connette numerosi organi quali cervello, polmoni, cuore, stomaco, intestino, fornendo una comprensione più sofisticata della biologia della sicurezza e del pericolo, basata sull’influenza reciproca tra le esperienze viscerali del nostro corpo, le voci e i visi delle persone intorno a noi 5. La teoria unisce osservazioni derivate dalla teoria dell’attaccamento, dall’ecologia animale, dall’antropologia e dalla psicotraumatologia, estremamente interessanti se collegate ai temi appena trattati. La neurocezione è quel meccanismo che descrive come i circuiti neurali siano in grado di distinguere situazioni o persone sicure, da quelle pericolose o minacciose per la vita. La neurocezione della sicurezza fa sì che non si acceda a stati fisiologici caratterizzati da crolli significativi della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, svenimenti o dispnea e apnea, stati che giustificherebbero comportamenti di immobilizzazione (freezing) o di spegnimento emotivo nel trauma. Van der Kolk 6 afferma che i ricordi traumatici sono codificati in esperienze viscerali: le persone traumatizzate tendono a essere sopraffatte e attivate da un sistema viscerale ingestibile e non modificabile dalle interazioni con l’ambiente. Inibiscono dunque il feedback sensoriale che arriva dal corpo, percependo i segnali del corpo e dell’ambiente come attutiti e privi di significato.
Quando gli stati di iper- o ipoarousal diventano continui e/o duraturi i processi di elaborazione dell’informazione possono diventare dissociati, le memorie traumatiche restano come congelate, non integrabili, riemergendo come sensazioni corporee, movimenti e immagini intrusive. La persona dunque è come divisa: una parte va avanti nella quotidianità evitando i ricordi traumatici, l’altra è in contatto con essi e innesca azioni difensive automatiche contro la minaccia. Porges ricorda che filogeneticamente nei mammiferi si è formato un sistema gerarchico di regolazione della risposta allo stress, che non si basa solo sui sistemi di attivazione simpatico-surrenale e di inibizione parasimpatico-vagale, ma questi stessi sistemi sono modificati dal nervo vago mielinizzato e dai nervi cranici che regolano le espressioni facciali alla base del sistema di ingaggio sociale. Nella filogenesi lo sviluppo dell’autoregolazione parte da un sistema primitivo di inibizione del comportamento e si affina nel corso dell’evoluzione col sistema di attacco-fuga, culminando nell’uomo in un sistema sofisticato di ingaggio sociale complesso, mediato dalle espressioni facciali e dalle vocalizzazioni. Le interazioni sociali possono stabilizzare l’attivazione fisiologica attraverso espressioni facciali, uso della parola e della prosodia, quando si percepisce che l’ambiente è sicuro. Di fronte a una minaccia non ci si relaziona efficacemente e si ripristinano quei comportamenti che garantiscono la sopravvivenza in condizioni di pericolo, come l’immobilizzazione traducibile in uno spegnimento di ogni azione (es. una sincope). La teoria polivagale aiuta a comprendere come visi gentili, toni di voce calmanti, possano alterare l’intera organizzazione dell’organismo umano.
Il riconoscimento del ruolo del feedback viscerale afferente sul funzionamento globale del cervello genera interesse nei confronti dei trattamenti non farmacologici (tecniche meditative e di rilassamento); nel PTSD l’equilibrio fra amigdala e lobo frontale cambia radicalmente e il controllo emotivo diviene difficoltoso.
Affrontare lo stress dipende da due opzioni: la regolazione top-down e bottom-up. La prima rinforza la capacità di monitorare le sensazioni fisiche (mindfulness e yoga possono aiutare), la seconda comporta una ritaratura del sistema nervoso autonomo attraverso il respiro, il movimento o il contatto. Esercitare la regolazione emotiva impedisce di ignorare cosa accada dentro di sé, la consapevolezza del respiro e del corpo (ad es. esercizio del body scan) cambia il senso del tempo, che nel trauma dà una sensazione di blocco, riattivando le sensazioni (ricerche su yoga e neuroscienze di Van der Kolk) 7 8.
Nel lavoro con i pazienti con dispnea il tono di voce rassicurante del terapeuta e il lavoro sulla consapevolezza aiutano in una sintonizzazione focalizzata, permettendo di uscire da stati disorganizzati e di terrore, ciò richiama sia le teorie di Porges che quelle sui neuroni specchio. Tale lavoro tiene conto anche della possibilità di coinvolgimento in alcuni livelli della famiglia, che può essere formata all’utilizzo di alcuni esercizi elementari 9 10.
Riferimenti bibliografici
- American Psychiatric Association. DSM 5 - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore: Milano; 2014.
- Nanetti F. Dialoghi tra psiche e soma. Edizioni Magi: Roma; 2007.
- Wall PD, Melzack R. Handbook of pain management. Churchill Livingstone: Londra; 2003.
- Brugnoli A, Brugnoli MP. I sentieri spirituali nelle cure palliative. Manuale pratico di rilassamento autoipnosi e meditazione. Gabrielli Editori: Cengia; 2016.
- Porges SW. La Teoria Polivagale - Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione. Fioriti Editori: Roma; 2014.
- Van Der Kolk B. Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore: Milano; 2015.
- Goldstein E, Stahl B. Il programma Mindfulness. Gruppo Macro: Cesena; 2010.
- Kabat Zinn J. Vivere momento per momento. Corbaccio: Milano; 2016.
- Eberlein G. Il libro del training autogeno. Feltrinelli: Milano; 2004.
- Widmann C. Le terapie immaginative. Edizioni Magi: Roma; 2015.
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