Articolo di revisione
Pubblicato: 2024-02-20

Gli stimolatori diaframmatici nell’insufficienza ventilatoria cronica

UO di Riabilitazione Respiratoria, AUSL di Reggio Emilia, IRCCS, Ospedale S. Sebastiano, Correggio (RE)
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disfunzione diaframmatica insufficienza respiratoria cronica ventilazione meccanica stimolatore diaframmatico

Abstract

Le cause sottostanti la disfunzione diaframmatica sono varie ed eterogenee. La gravità del disturbo dipende dall’entità della perdita della funzione di pompa muscolare. Nei casi severi con insufficienza respiratoria cronica associata, la ventilazione meccanica invasiva e non costituisce il gold standard di trattamento. Un’opzione terapeutica alternativa, ad oggi ancora poco nota, è data dall’applicazione di stimolatori diaframmatici in pazienti altamente selezionati. A partire dagli anni settanta, vi sono state diverse esperienze legate al posizionamento di tali dispositivi per favorire lo svezzamento dalla ventilazione nell’insufficienza respiratoria cronica secondaria ad ipoventilazione centrale o a lesioni midollari. Recentemente, si sta tentando di estendere la sua indicazione a patologie neuromuscolari ingravescenti e a disfunzioni diaframmatiche sintomatiche. Finora, non vi sono evidenze riguardanti la sua applicazione come prima scelta in alternativa alla ventilazione meccanica. Questa revisione della letteratura punta a comprendere come è strutturato uno stimolatore diaframmatico, quali sono i pazienti candidabili, quali sono i vantaggi e i limiti facendo riferimento alle principali evidenze scientifiche disponibili.

Introduzione

Il diaframma costituisce il principale muscolo adibito della respirazione. Ciascun emidiaframma è innervato dal nervo frenico a partenza dalle radici nervose cervicali C3, C4 e C5. La sua composizione è data principalmente da fibre di tipo I a contrazione lenta e di tipo IIa a contrazione rapida. L’inspirazione lenta è associata alla contrazione del diaframma e dei muscoli intercostali, solitamente localizzati a livello dei primi sei spazi intercostali.

Disfunzione diaframmatica

La disfunzione diaframmatica spazia da una perdita parziale della capacità di generare pressione (debolezza) fino ad una perdita completa (paralisi) 1. Il coinvolgimento può essere mono o bilaterale e le cause alla base del danno sono svariate. Queste solitamente vengono classificate in base al livello in cui si localizza l’alterazione 2,3.

Il midollo spinale può essere danneggiato da malattie demielinizzanti oppure da lesioni traumatiche. Tendenzialmente lesioni spinali alte (C1-C2) determinano paralisi diaframmatica, al contrario danni più bassi (C3-C5) provocano debolezza diaframmatica. La sindrome da ipoventilazione centrale può essere congenita (sindrome di Ondine) oppure secondaria ad un danno a livello dei centri respiratori midollari (traumi, lesioni ischemico-emorragiche, tumori o malformazione di Arnold-Chiari). Malattie del motoneurone come la sclerosi laterale amiotrofica o la poliomielite solitamente conducono a disfunzione diaframmatica ed insufficienza respiratoria. Altre entità meno frequenti comprendono siringomielia, neuropatie paraneoplastiche e atrofia muscolare spinale. Il danno meccanico iatrogeno del nervo frenico è comunemente secondario a chirurgia del distretto cardiotoracico o testa-collo. Malattie della giunzione neuromuscolare quali miastenia gravis o botulismo possono determinare disfunzione diaframmatica. Critical-illness polyneuropathy, neuropatie e miopatie sono cause comuni di debolezza diaframmatica con necessità di supporto ventilatorio prolungato nel setting intensivo. Le principali cause di disfunzione diaframmatica sono riassunte in Tabella I.

Diagnosi

Diverse metodiche consentono d’indagare la disfunzione diaframmatica (Tab. II) 1. La decisione sul work-up diagnostico è influenzata dalla disponibilità dei test e dalla loro invasività 4,5.

La radiografia del torace consente una diagnosi presuntiva tramite l’osservazione di emidiaframmi elevati ed atelettasie basali, anche se tali reperti sono frequenti nel paziente allettato e ventilatore-dipendente. Di conseguenza la specificità di tale metodica risulta bassa (44%). Lo “sniff test” permette di valutare il movimento del diaframma durante uno sforzo inspiratorio rapido. In caso di paralisi diaframmatica unilaterale, si assiste ad un movimento paradosso del lato affetto. Tale test non è utilizzabile nella paralisi diaframmatica bilaterale per via dell’elevata incidenza di falsi positivi. I test di funzionalità polmonare, in particolare la misurazione della capacità vitale in posizione seduta e supina, costituiscono un valido supporto alla diagnosi. Solitamente si assiste ad una lieve restrizione (capacità polmonare totale 70-79% del predetto) in presenza di paralisi diaframmatica unilaterale. In caso di debolezza o paralisi diaframmatica bilaterale, la severità del deficit restrittivo è moderata o elevata (30-50% del predetto). Una riduzione della capacità vitale tra il 30 e il 50% con l’assunzione della posizione supina supporta la diagnosi di paralisi diaframmatica bilaterale. Il meccanismo alla base è legato allo spostamento dei visceri addominali in associazione ad un’attività inefficace dei muscoli inspiratori accessori. Misure aggiuntive della forza muscolare inspiratoria sono la pressione inspiratoria massimale (MIP) e la pressione inspiratoria nasale con sniff test. Come le altre prove funzionali respiratorie, hanno il vantaggio di essere misure non invasive ma sforzo-dipendenti. MIP e pressione inspiratoria nasale presentano una riduzione di grado moderato (circa 60% del predetto) in caso di paralisi diaframmatica unilaterale e di grado severo (circa 30% del predetto) in quella bilaterale. La pressione espiratoria massimale (MEP) solitamente è conservata. Una riduzione dei valori di MIP e MEP suggerisce che la causa sia un processo generalizzato a carico sia dei muscoli inspiratori che espiratori (ad esempio distrofie muscolari). La misura ecografica della variazione dell’ispessimento muscolare a livello della zona di apposizione è un’ulteriore metodica non invasiva. La mancanza d’ispessimento in inspirazione è diagnostica di paralisi diaframmatica. Consente inoltre la distinzione tra disturbo monolaterale e bilaterale, oltre che un monitoraggio nel lungo termine per valutare l’eventuale recupero.

Tra le indagini invasive, ricordiamo la misurazione della pressione transdiaframmatica (Pdi) attraverso il posizionamento trans-nasale di un palloncino nell’esofago inferiore 6. Tale pressione è il risultato della differenza tra la pressione gastrica e quella esofagea. Può essere misurata durante la respirazione a volume corrente, durante manovre di sniff o durante manovre inspiratorie massimali a glottide chiusa (Pdi max). Valori superiori a 80 cmH2O negli uomini e 70 cmH2O nelle donne consentono l’esclusione di disfunzione diaframmatica. Nonostante venga considerato lo standard diagnostico per la diagnosi, è comunque un’indagine invasiva e fastidiosa. L’elettromiografia del diaframma ha molti limiti: adeguato posizionamento degli elettrodi, possibilità di artefatti di segnale provenienti da muscoli adiacenti e distanze variabili tra muscolo ed elettrodi per via del pannicolo adiposo sottocutaneo. In ogni caso, l’elettromiografia del diaframma aiuta nella distinzione tra cause miopatiche e neuropatiche.

Opzioni terapeutiche

Il trattamento delle disfunzioni diaframmatiche è legato alla causa sottostante e alla presenza di ipoventilazione notturna o insufficienza respiratoria cronica. Quando la disfunzione determina il coinvolgimento degli scambi gassosi, la ventilazione meccanica costituisce la terapia salvavita. Può essere applicata con interfacce invasive (tubo endotracheale o cannula tracheostomica) o non invasive (maschere nasali o facciali). La necessità di tale supporto può essere temporanea, classicamente in seguito ad interventi chirurgici o cause acute, oppure permanente in caso di malattie neuromuscolari progressive. Le indicazioni principali sono 7:

  1. ipercapnia (PaO2 > 45 mmHg);
  2. SpO2 notturna < 88% almeno per 5 minuti;
  3. MIP < 60 cmH2O o FVC < 50% del predetto.

Purtroppo la ventilazione meccanica prolungata induce atrofia della muscolatura diaframmatica in meno di 24 ore e graduale conversione delle fibre muscolari verso un tipo II a contrazione rapida.

La plicatura del diaframma è una procedura chirurgica per mettere in tensione le fibre muscolari agendo sul tendine membranoso. In questo modo si cerca di ridurre il movimento paradosso del diaframma garantendo un miglioramento dei volumi polmonari statici e della dispnea 8. L’indicazione a tale procedura non è ben definita. Solitamente, è limitata alla paralisi diaframmatica unilaterale dopo interventi chirurgici.

Il pacing diaframmatico

Com’è strutturato e quante tipologie ne esistono?

La prima applicazione del pacing diaframmatico è avvenuta negli anni ’70 da parte del gruppo di Glenn e collaboratori 9. I sistemi di pacing diaframmatico hanno tutti una struttura simile: sono composti da componenti impiantabili e da componenti esterni 10,11. I componenti esterni comprendono un trasmettitore radio a batteria e i cavi dell’antenna. Quelli interni comprendono elettrodi deputati alla stimolazione dei nervi frenici, ricevitori di radiofrequenze e cavi di connessione. La prima tecnica studiata per l’impianto del dispositivo prevede un approccio toracico tramite toracotomia open o con video-assisted thoracoscopic surgery (VATS) in anestesia generale. I cavi vengono tunnellizzati a livello sottocutaneo per collegare ciascun elettrodo al proprio ricevitore di radiofrequenze posizionato anteriormente sulla parete toracica. Il trasmettitore esterno a batteria genera radiofrequenze che vengono trasmesse ai ricevitori attraverso due antenne circolari (Fig. 1). Ogni antenna è posizionata sopra al proprio ricevitore per garantire la corretta trasmissione del segnale. Questo viene poi convertito in segnale elettrico e viene trasmesso agli elettrodi. L’ampiezza e la frequenza del segnale consentono di regolare il volume corrente. Diversi modelli sono stati prodotti:

  1. Avery Laboratories (USA) il modello sviluppato da Glenn e collaboratori;
  2. Atrotech OY (Finlandia);
  3. MedImplant Biotechnisches Labor (Austria).

Più recentemente, agli inizi degli anni 2000, è stato introdotto il dispositivo NeuRx RA/4 (Synapse Biomedical) che prevede il posizionamento tramite una procedura laparoscopica 12. Poiché le branche dei nervi frenici non sono visibili a livello addominale, è necessario ricercare i “punti motori” del diaframma tramite una mappatura dedicata. Successivamente, vengono posizionati due elettrodi intramuscolari in ciascun emidiaframma. I fili degli elettrodi attraversano la cute e vengono connessi ad uno stimolatore esterno. Il vantaggio di questa tecnica è la minore invasività chirurgica e l’eliminazione del rischio di danneggiamento del nervo frenico durante la procedura. In più, quest’ultimo dispositivo è più economico dei sistemi a radiofrequenza.

Quali pazienti sono candidabili?

L’applicazione cardine del pacing riguarda soggetti affetti da sindrome da ipoventilazione centrale e pazienti tetraplegici dipendenti dalla ventilazione a scopo di svezzamento. In particolare, il posizionamento viene proposto in tali casi d’insufficienza respiratoria cronica in cui sia mantenuta l’integrità di polmoni, parete toracica, muscolatura respiratoria e nervi frenici 13. La genesi dell’insufficienza respiratoria è secondaria alla mancata trasmissione nervosa dal sistema nervoso centrale ai muscoli inspiratori. Malattie polmonari sottostanti e miopatie rischiano di minare il successo del pacing diaframmatico a lungo termine. In ogni caso, prima di proporre tale soluzione, dovrebbero essere effettuati vari tentativi di weaning dalla ventilazione meccanica.

Valutazione dei nervi frenici

La funzione dei nervi frenici deve essere studiata in ogni paziente. Si tratta di valutare i tempi di conduzione nervosa attraverso la stimolazione elettrica nelle regioni cervicali dei nervi frenici 12,14,15. A tale scopo, vengono applicati elettrodi ad ago o di superficie nel margine posteriore del muscolo sterno-cleidomastoideo all’altezza della cartilagine cricoide. I potenziali d’azione vengono monitorati tra il settimo e il nono spazio intercostale, calcolando il tempo di conduzione nervosa di ciascun nervo frenico e registrando l’ampiezza dei potenziali d’azione. Nonostante costituisca il gold standard, tale metodica è affetta da una piccola quota di falsi positivi e falsi negativi. Perciò, nel corso della valutazione, è utile associare lo studio della motilità diaframmatica per mezzo della fluoroscopia. Se la funzione dei nervi frenici rimane ancora dubbia, il passaggio ulteriore prevede la misurazione della pressione transdiaframmatica (Pdi).

Avvio ed impostazione del pacing

Solitamente, prima di avviare il pacing diaframmatico, è necessario attendere due settimane dall’atto chirurgico per consentire la guarigione delle ferite e la risoluzione dell’edema 9. L’integrità del sistema deve essere valutata all’inizio e va monitorata regolarmente in un secondo momento. Tra i parametri presi in considerazione troviamo lo stimolo minimo che scatena una contrazione visibile o palpabile del diaframma e lo stimolo più basso che porta alla generazione del massimo volume inspiratorio. Poiché la ventilazione meccanica cronica induce atrofia muscolare, il paziente inizia un programma di condizionamento con l’obiettivo di aumentare gradualmente la capacità di generare pressione e l’ampiezza dei volumi inspirati. Tale programma prevede sessioni di 30 minuti diverse volte al giorno con l’obiettivo di raggiungere un utilizzo pressoché continuo nel corso della giornata. La fase di condizionamento viene considerata conclusa una volta raggiunto un plateau nell’ampiezza dei volumi inspiratori generati. Prima di iniziare la stimolazione diaframmatica, è utile misurare il valore di PaCO2 tramite emogasanalisi arteriosa o end-tidal. Il volume corrente inspiratorio viene regolato variando la frequenza di stimolo tra 8 e 14 atti respiratori-minuto avendo come target un valore di capnia ai limiti inferiori di norma (≈ 35 mmHg). Nella fase di condizionamento, frequenza respiratoria e volume corrente vengono mantenuti ai valori più bassi possibile per garantire un’adeguata ventilazione ed il confort del paziente. Contestualmente si assiste alla graduale riduzione dell’atrofia diaframmatica con riconversione delle fibre muscolari da una popolazione di fibre veloci meno funzionali di tipo IIb verso una di fibre più lente ed efficienti di tipo I 16. La frequenza di stimolo non deve superare i 20 Hz per evitare di causare danni miopatici. Una volta che il pacing diaframmatico è a regime, la cannula tracheostomica può essere mantenuta tappata durante il giorno 17. Solitamente, durante la notte, viene mantenuta pervia in modo da prevenire eventuali ostruzioni delle alte vie aeree secondarie all’incoordinazione tra muscoli delle vie aeree superiori e diaframma. Infatti, contrazione del diaframma e flaccidità dei muscoli delle vie aeree superiori tendono a provocare un collasso intermittente delle vie aeree con rischio d’ipossiemia durante il sonno.

Vantaggi e svantaggi

In pazienti adeguatamente selezionati il pacing diaframmatico costituisce un’alternativa importante alla ventilazione meccanica 13. Spesso consente un miglioramento del benessere soggettivo e dello stato di salute complessivo. Tale sensazione viene ricondotta ad una ventilazione più “fisiologica” grazie all’utilizzo dei propri muscoli inspiratori oltre che alla rimozione dei tubi di connessione al ventilatore e alla minore dipendenza dal supporto meccanico. In questo modo si riduce la paura di disconnessione accidentale dal ventilatore. Inoltre, mobilità e libertà del paziente migliorano in maniera significativa 18,19. Tutto ciò ha ripercussioni benefiche in termini di socialità, agevolazione dei programmi riabilitativi e dell’attività lavorativa. Viene agevolato il reinserimento nella vita sociale grazie alla minore dipendenza dalle macchine, con significativi benefici in termini di stigma sociale e disagio. Oltretutto, è noto che la dipendenza dalla ventilazione meccanica costituisce un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza a lungo termine 19,20. Il pacing diaframmatico infatti riduce l’incidenza di complicanze infettive del tratto respiratorio. Il costo è elevato all’inizio, ma viene ammortizzato nel lungo periodo riducendo fortemente il costo degli accessori e della manutenzione legata alla ventilazione meccanica. Agevolando il weaning, i pazienti possono essere trasferiti in setting meno intensivi e di conseguenza meno costosi.

La complicanza più severa del pacing diaframmatico è legata al danno iatrogeno del nervo frenico durante il posizionamento degli elettrodi 21. Fortunatamente, tale fenomeno ormai presenta un’incidenza molto bassa. Era per lo più riconducibile alla tecnica con approccio toracico a causa di un danno meccanico diretto o della compromissione dell’apporto vascolare nervoso. Comunque, il sistema con approccio laparoscopico ha praticamente azzerato tale rischio poiché gli elettrodi non sono a contatto con il nervo 12. Il rischio d’infezione dei materiali impiantati è sempre possibile ed in tale caso è necessaria la loro rimozione. Per quanto riguarda i malfunzionamenti tecnici, la causa più frequente è data dall’esaurimento della batteria, problema evitabile rispettando la manutenzione con i cambi delle batterie e gli schemi di ricarica. Nei device a radiofrequenza si può avere la rottura dei cavi esterni dell’antenna. Nei device con elettrodi intramuscolari, si può avere la rottura dei cavi a livello del punto di uscita. Infine, può avvenire la rottura o il malfunzionamento degli elettrodi dopo periodi variabili dall’impianto.

Evidenze a supporto

Fin dal passato le evidenze più robuste del pacing riguardavano l’utilizzo a scopo di weaning dalla ventilazione meccanica invasiva nell’insufficienza respiratoria secondaria ad ipoventilazione centrale o a lesioni midollari. Negli ultimi anni, si sta tentando un’applicazione finalizzata al supporto ventilatorio in patologie neuromuscolari ingravescenti e disfunzioni diaframmatiche sintomatiche.

Lo stato dell’arte del pacing diaframmatico è riassunto in maniera esaustiva nell’articolo di revisione di Le Pimpec-Barthes e collaboratori 22. Uno studio internazionale riguardante una coorte di 64 pazienti impiantati con il sistema Atrotech ha dimostrato come i pazienti tetraplegici fossero in grado di utilizzare il pacing in maniera più prolungata rispetto a quelli con ipoventilazione centrale di varia causa 21. La durata media dell’utilizzo è stata di circa due anni con elevati tassi di successo anche nei bambini, sia con il device a radiofrequenze che con quello ad elettrodi intramuscolari. Non vengono riportate differenze in termini di sito di posizionamento degli elettrodi, modalità e durata del pacing tra la popolazione di pazienti adulti e quella pediatrica. Il weaning dalla ventilazione meccanica è stato raggiunto nel 91% dei casi. Wijkstra e colleghi hanno raccontato l’esperienza europea legata all’applicazione del pacing nelle disfunzioni diaframmatiche secondarie a lesioni del midollo spinale 23. Il 77% dei pazienti era in grado di utilizzare il pacing diaframmatico per almeno 4 ore dopo 12 mesi di follow-up, mentre il 36% era riuscito a raggiungere un weaning completo dalla ventilazione meccanica invasiva. L’analisi multicentrica di Posluszny e collaboratori confermava l’efficacia della mappatura del diaframma e dell’impianto precoce del pacing nei pazienti con lesioni del midollo spinale 24. Il 72% è stato svezzato dalla ventilazione meccanica in una media di 10,2 ± 13,1 giorni. Il 44% aveva raggiunto un recupero completo della funzione respiratoria con rimozione del pacing diaframmatico. Analoghi risultati in termini di efficacia sono stati documentati da Onders e collaboratori in un’analisi retrospettiva 25: l’88% dei pazienti aveva raggiunto almeno 4 ore consecutive di utilizzo del pacing, mentre il 60,8% era riuscito ad utilizzarlo in continuo nelle 24 ore. Lo studio monocentrico di Watt e colleghi ha analizzato la sopravvivenza in questa tipologia di pazienti 26. È stata osservata una sopravvivenza di 1,8 anni maggiore nel gruppo di pazienti con pacing rispetto a quello in ventilazione meccanica invasiva. Tale dato è stato confermato anche nello studio retrospettivo monocentrico di Romero et al. 19. Oltre ad un miglioramento della sopravvivenza, è stata inoltre registrata una migliore qualità di vita nell’ambito della socialità e della mobilità.

Nonostante uno dei criteri necessari all’impianto del pacing diaframmatico sia l’integrità della trasmissione nervosa, è stata valutata la sua applicazione nell’insufficienza respiratoria secondaria a sclerosi laterale amiotrofica. Un trial multicentrico randomizzato controllato del 2015 ha cercato di studiare l’efficacia del dispositivo NeuRx nel ridurre la progressione dell’insufficienza respiratoria e la necessità di supporto ventilatorio meccanico 27. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: NIV con l’aggiunta del pacing diaframmatico vs NIV da sola. Lo studio è stato prematuramente interrotto per via della marcata riduzione della sopravvivenza nel gruppo dei pazienti che aveva posizionato il pacing in aggiunta. La sopravvivenza media era pari a 45 mesi nel gruppo NIV, mentre si attestava a 28 mesi nel gruppo con pacing. A fronte di tali risultati, il pacing diaframmatico non è indicato come trattamento di routine in tale patologia.

Un nuovo campo di applicazione riguarda le disfunzioni diaframmatiche monolaterali o bilaterali sintomatiche come riportato dal trial di Onders et al. 28. Le cause riportate erano idiopatiche, traumatiche e post-chirurgiche. In un campione di 21 pazienti, il 62% ha riportato miglioramenti significativi in termini di ventilazione con l’ausilio del pacing diaframmatico. Inoltre ha consentito lo svezzamento di 4 pazienti tracheostomizzati dalla ventilazione meccanica.

Recenti studi stanno valutando la sua applicazione nei pazienti con insufficienza respiratoria secondaria a malattia di Pompe. Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare dal decorso della patologia, l’utilizzo del pacing diaframmatico sembra ridurre la dipendenza dalla ventilazione meccanica attraverso il ri-allenamento della muscolatura diaframmatica 29. Questo risultato è stato documentato anche nello studio di Liberati e collaboratori, riguardante una coorte di 6 pazienti sia adulti che pediatrici. Nel corso di un follow-up della durata di due anni, è stato dimostrato come l’utilizzo del pacing diaframmatico consenta la stabilizzazione del volume corrente oltre che l’acquisizione nella metà del campione di una significativa indipendenza dalla ventilazione meccanica con conseguente miglioramento della qualità di vita e riduzione del carico assistenziale 30.

Conclusioni

Il pacing diaframmatico costituisce una valida alternativa alla ventilazione meccanica in pazienti altamente selezionati con ottimi risultati in termini di miglioramento della qualità di vita e del tasso di mortalità. Oltre alle esperienze ormai consolidate nella tetraplegia e nell’ipoventilazione centrale, si sta valutando l’applicazione in nuovi ambiti quali le disfunzioni diaframmatiche sintomatiche e la malattia di Pompe.

Figure e tabelle

Figura 1.Immagine delle componenti esterne del pacemaker diaframmatico a radiofrequenze (modello Atrotech): 1) modulo di programmazione del trasmettitore; 2) trasmettitore esterno di radiofrequenze; 3) batteria del trasmettitore; 4) antenne esterne per la trasmissione “senza fili” dell’impulso agli stimolatori interni dei nervi frenici.

Encefalo
Sindrome da ipoventilazione centrale Sclerosi multipla
Sindrome di Ondine
Sindrome di Arnold-Chiari
Ictus ischemico/emorragico
Traumi e neoplasie
Midollo spinale cervicale
Malattie del motoneurone Traumi
Sclerosi laterale amiotrofica
Poliomielite
Atrofia muscolare spinale
Siringomielia
Nervi frenici
Neuropatie Danno iatrogeno/compressione ab estrinseco
Critical-illness polyneuropathy e sindrome di Guillain-Barrè
Muscolatura diaframmatica
Miopatie Miastenia Gravis
Botulismo
Sindromi paraneoplastiche Distrofie muscolari e miositi
Sindrome di Lambert-Eaton
Tabella I.Cause di disfunzione diaframmatica in base al livello di danno
Presentazione clinica e diagnosi Paralisi diaframmatica bilaterale Paralisi diaframmatica unilaterale
Clinica Dispnea di ndd a riposo, ortopnea, dispnea da supino, dispnea in acqua, insufficienza respiratoria e weaning difficile Paziente asintomatico, dispnea di ndd, limitazione all’esercizio, reperto radiografico incidentale
Esame obiettivo Respiro addominale paradosso Mancanza di respiro paradosso
Test di funzionalità polmonare e ulteriori indagini
Capacità vitale (% pred) < 50% > 70%
Declino da supino della CV (% pred) 30-50% 10-30%
MIP (% pred) < 30% > 60%
Radiografia del torace Non utile Sniff test positivo
Variazione dello spessore ecografico in inspirazione Nessuna variazione Nessuna variazione
Pdi massimo (cmH2O) < 40 > 70
Tabella II.Confronto tra paralisi diaframmatica unilaterale e bilaterale

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UO di Riabilitazione Respiratoria, AUSL di Reggio Emilia, IRCCS, Ospedale S. Sebastiano, Correggio (RE)

Mirco Lusuardi

UO di Riabilitazione Respiratoria, AUSL di Reggio Emilia, IRCCS, Ospedale S. Sebastiano, Correggio (RE)

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2024

Come citare

Daniele, F., Scarascia, A., Garofalo, M., Massobrio, M., & Lusuardi, M. (2024). Gli stimolatori diaframmatici nell’insufficienza ventilatoria cronica. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 38(4), 212-219. https://doi.org/10.36166/2531-4920-699
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