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Pubblicato: 2024-05-22

Pneumologia Interventistica e Trapianto

UOC Pneumologia ad indirizzo Interventistico, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

Articolo

I tre lavori che propongo sono tre paper che toccano argomenti piuttosto innovativi nell’ambito della pneumologia interventistica, la TC cone-beam, l’uso della criosonda nei suoi vari aspetti e la gestione della stenosi tracheale benigna. Il primo confronta la resa diagnostica della TC cone-beam (CT-CB) associata a broncoscopio ultrasottile (UT) rispetto alle metodiche convenzionali di navigazione (ENB) 1.

La ricerca di una sempre miglior resa diagnostica di noduli polmonari, soprattutto quelli a rischio intermedio per malignità, è l’obiettivo delle nuove metodiche. È noto come i sistemi di navigazione abbiano delle rese diagnostiche piuttosto basse a causa di alcune problematiche dovute sia alla diversa posizione del paziente, quando esegue la TC e quando esegue la procedura, sia dell’esatto posizionamento dello strumento rispetto a quanto previsto a causa di atelettasie. La TC cone-beam è una tecnica che si esegue a paziente intubato e sedato e le immagini della lesione polmonare acquisite nel corso della TC vengono associate direttamente alla visualizzazione fluoroscopica (CB-CT augmented fluoroscopy). Ciò facilita la navigazione verso la lesione da campionare, a quel punto tridimensionalmente.

Questo lavoro, retrospettivo, ha il fine di valutare la resa diagnostica della CB-CT aF, EBUS radiale e la broncoscopia ultrasottile (UTB). Tra il febbraio 2020 e il luglio 2021 sono stati reclutati 116 pazienti con lesioni sospette (tra gli 8 e i 50 mm), sottoposti a campionamento bioptico secondo le tre metodiche r-EBUS associato a fluoroscopia (59 pazienti), CB-CT associata a fluoroscopia aumentata e r-EBUS (27 pazienti) e in ultimo CB-CT associata a UTB e r-EBUS (30 pazienti).

L’outcome primario era rappresentato dall’accuratezza diagnostica dell’approccio endoscopico guidato, tenendo conto di tutti i campioni ottenuti, definiti dal rapporto fra la somma di tutti i risultati (positivi e negativi) e il numero totale dei noduli campionati. Per risultato positivo si intendeva una diagnosi citoistologica di malignità, mentre per esito negativo si intendeva la dimostrazione citoistologica di patologia benigna (granuloma, OP, infiammazione acuta/cronica) che potesse essere confermata da successiva biopsia (chirurgica o per via transtoracica) oppure derivare dal miglioramento radiologico dimostrato su TC torace successiva o dalla stabilizzazione dimensionale della lesione evidente ai controlli radiologici dei successivi 2 anni di follow-up.

Outcome secondari sono stati considerati la sensibilità per la diagnosi di tumore polmonare, il valore predittivo negativo, la sicurezza della procedura, la dose di radiazione somministrata e il numero di scansioni TC nel corso delle procedure di TC cone-beam, il tempo di utilizzo della fluoroscopia nei pazienti campionati con il solo ausilio di r-EBUS. L’analisi dei dati ha dimostrato che il campionamento con CBCT + UTB + r-EBUS e con CBCT associato a r-EBUS presenta migliore accuratezza diagnostica rispetto all’utilizzo del solo EBUS radiale associato alla fluoroscopia (rispettivamente 85,0% vs 68,3% e 44,5%). Tuttavia, il confronto fra le due tipologie di campionamento con CB-CT non ha evidenziato una differenza statisticamente significativa, al contrario del confronto con l’utilizzo di fluoroscopia e rEBUS (vs. CBCT + r-EBUS P = 0,238; vs r-EBUS P = 0,011). Sebbene non si possa parlare di differenza con significatività statistica, si dimostra tuttavia esservi un trend a favore del campionamento con cone-beam, tendenza replicata anche nell’analisi di sensibilità.

L’incidenza di broncoscopie non diagnostiche era maggiore nel gruppo campionato con l’ausilio di fluoroscopia/rEBUS (40% vs 18% per CBCT + r-EBUS vs 0% per CBCT + UTB + r-EBUS).

La sensibilità per patologia neoplastica era nettamente più elevata nei gruppi di campionamento con CB-CT rispetto al gruppo di campionamento con rEBUS (81% vs 81% vs 43% in rEBUS).

Il pneumotorace e il pneumomediastino si sono verificati con frequenza differente in maniera non statisticamente significativa fra i 3 gruppi (p = 0,17); inoltre non si è manifestato sanguinamento che necessitasse di manovre aggiuntive rispetto alla semplice aspirazione; in nessun caso si è verificata insufficienza respiratoria. In conclusione, la metodica con TC cone-beam sembra avere un vantaggio rispetto alle altre metodiche prese in considerazione, anche se si tratta solo di un trend e non di una differenza statisticamente significativa. Parlando, anche per esperienza personale, la metodica ad oggi può essere utilizzata nei centri di secondo livello ed anche in quelli la logistica non è così semplice. In quanto le TC cone-beam vengono utilizzate da altre specialità (chirurgie vascolari, cardiologie, urologie, etc). Bisogna poi considerare bene i tempi della procedura e i costi non solo della procedura ma anche di ammortamento della macchina. Risulta fondamentale e dirimente la selezione del paziente, che dovrà essere estremamente mirata.

Il secondo lavoro che ho il piacere di presentare è lo studio FROSTBITE 2, studio prospettico monocentrico e osservazionale che aveva lo scopo di valutare la sicurezza della sonda 1,1 mm con guida nelle biopsie transbronchiali. I pazienti arruolati erano 50 afferiti a due centri universitari con indicazione ad eseguire biopsie transbronchiali (n = 25 pazienti per valutare la presenza di rigetto dopo trapianto polmonare, n = 22 per tipizzazione di interstiziopatia polmonare, n = 3 per tipizzazione di lesioni polmonari periferiche). Tutti i pazienti erano stati sopposti ad anestesia totale o sedazione profonda con utilizzo di tubo orotracheale/broncoscopio rigido/maschera laringea. I bloccatori endobronchiali e/o la fluoroscopia non sono stati utilizzati per ogni procedura. Individuata la sede della biopsia, la guida veniva inserita nel canale operativo del fibroscopio e la criosonda 1,1 mm veniva spinta fino alla sede della biopsia. Il tempo di congelamento variava da 4 a 8 secondi a discrezione dell’operatore. La criosonda e il prelievo bioptico venivano quindi estratti attraverso la guida mentre il fibroscopio restava in sede nelle vie aeree. Outcome primario dello studio era rappresentato dalle complicanze intese come sanguinamento di grado III (uso di bloccatore bronchiale) e pneumotorace di grado II (posizionamento di drenaggio). Sono stati registrati solo 2 pneumotorace (4%) nessuno dei quali ha richiesto posizionamento di drenaggio pleurico. Non sono stati registrati casi di sanguinamento richiedenti utilizzo di bloccatori endobronchiali. L’area dei prelievi bioptici in media è di 54,4 +/- 33,3 mm2. Le biopsie eseguite per valutare il rigetto polmonare sono state giudicate non diagnostiche nell’8% dei casi per insufficienza di tessuto; le biopsie eseguite per valutare le interstiziopatie polmonari sono state valutate diagnostiche nel 64% dei casi; le biopsie eseguite per valutare le lesioni parenchimali periferiche solo in uno di tre casi hanno fornito materiale diagnostico.

Con il diffondersi della criobiopsia nei vari centri, sono aumentate le percentuali di eventi avversi registrati (pneumotorace e sanguinamento delle vie aeree) legati fondamentalmente a due aspetti della procedura. Il primo è rappresentato dalle dimensioni del prelievo, il secondo dalla necessità di rimuovere il campione bioptico en bloc con il fibroscopio e la criosonda. Rimuovendo il fibroscopio subito dopo la biopsia si perde il controllo delle vie aeree con impossibilità di intervenire tempestivamente in caso di sanguinamento. In questo studio, l’utilizzo della criosonda 1,1 con guida consente di superare le due limitazioni della criobiopsia con criopinza convenzionale dimostrando la sicurezza della procedura. In particolare, in questo studio non sono stati registrati sanguinamenti clinicamente significativi, non casi di pneumotorace richiedenti posizionamento di drenaggio toracico. Questo studio ha dimostrato un profilo di sicurezza accettabile per la criobiopsia utilizzando la criosonda 1,1 mm con guida a confronto con la criobiopsia con pinza convenzionale.

L’ultimo paper che segnalo è una bella review sul ruolo della broncoscopia nell’approccio multidisciplinare della stenosi tracheale benigna 3, che da molto tempo non era affrontata così approfonditamente.

Le stenosi tracheali benigne si presentano spesso con sintomi aspecifici tali da determinare un ritardo diagnostico anche importante. Le stenosi tracheali benigne possono essere secondarie a malattie autoimmuni, reflusso gastroesofageo, infezioni delle vie aeree, danno chimico o da inalazione, radioterapia o danni iatrogeni legati ad intubazione o a tracheostomia; tuttavia in circa il 18% dei casi l’eziologia resta sconosciuta. Una valutazione multidisciplinare del caso (chirurgo toracico, pneumologo interventista ed otorinolaringoiatra) consente di stabilire l’approccio terapeutico più adeguato a seconda dei casi e di gestire al meglio eventuali complicanze a lungo termine (recidive, tessuto di granulazione, fistole tracheo-esofagee, etc.).

La valutazione non invasiva delle stenosi tracheali prevede un’accurata anamnesi ed esame obiettivo del paziente, utili a stabilirne l’eziologia, nonché l’esecuzione di alcuni esami ematici (incluso pannello dell’autoimmunità), di una spirometria (mostra il classico plateau della curva in fase in-espiratoria, di solito quando il lume tracheale residuo è inferiore a 6-8 mm) e di una TC collo-torace. Quest’ultimo esame permette di stimare in modo affidabile la lunghezza del tratto stenotico e l’entità del restringimento tracheale, anche attraverso ricostruzioni multiplanari; una TC dinamica può inoltre aiutare ad identificare la eventuale concomitanza di tracheomalacia associata e/o un collasso dinamico espiratorio eccessivo (EDAC).

La valutazione invasiva delle stenosi tracheali in corso di broncoscopia rappresenta il gold standard diagnostico in quanto consente di verificare la motilità delle corde vocali e le caratteristiche della stenosi (morfologia, lume residuo, distanza da corde vocali, cricoide e carena tracheale, eventuale malacia associata). L’entità del restringimento della stenosi è il principale fattore condizionante la sintomatologia (in primis dispnea) ed è rilevante nella decisione di intraprendere un trattamento. In genere per la misura si confronta l’area della stenosi con quella di una normale porzione di trachea. Nelle stenosi lievi, secondo la classificazione di Cotton-Myer’s la riduzione è <50%, fra 51-70% nelle moderate e >71% nelle forme severe. La morfologia della stenosi può essere semplice (lunghezza <1 cm e senza malacia) o complessa (lunghezza > 1 cm o associata a malacia o danno della parete tracheale a tutto spessore). L’interessamento ischemico e/o fibrotico della cartilagine, tipico delle stenosi complesse, è spesso correlato a scarso successo delle procedure endoscopiche di sola dilatazione.

Il trattamento delle stenosi tracheali benigne deve basarsi sulle caratteristiche della stenosi stessa ma anche tener conto della qualità di vita del paziente e della sua potenziale operabilità in relazione ad eventuali comorbilità presenti.

Le tecniche endoscopiche sono usate più spesso per trattare stenosi < 1 cm o, con minori probabilità di guarigione completa, superiori a 4-6 cm. Tra le tecniche endoscopiche più comunemente utilizzate vanno ricordate:

  1. la dilatazione meccanica laser-assistita (LAMD) che consiste nell’eseguire, due o tre incisioni radiali con il laser seguite da dilatazione con broncoscopio rigido o con pallone da dilatazione. In genere si evita l’applicazione circonferenziale onde evitare di indurre stenosi secondarie da retrazione e cicatrici della mucosa. Tale procedura da ottimi risultati, con intento curativo dal 60-96% dopo due o tre trattamenti in particolare nelle stenosi semplici post intubazione o tracheostomia;
  2. l’elettrochirurgia (ES) dove si utilizzano dei bisturi, più spesso monopolari, per eseguire dei tagli a livello della stenosi in corso di endoscopia.

Oltre alle tecniche di trattamento chirurgico ed endoscopico esistono limitate opzioni farmacologiche di trattamento, come l’iniezione intralesionale di steroidi e l’applicazione di Mitomicina C (MMC), che hanno lo scopo di sopprimere la propagazione dell’infiammazione e di inibire la proliferazione fibroblastica (specie nelle malattie autoimmuni).

In pazienti non candidabili a chirurgia o in pazienti con recidiva della stenosi dopo trattamento endoscopico o chirurgico diventa una opzione molto importante il posizionamento di stent, preferibilmente siliconici, per la palliazione dei sintomi, con la possibilità di rimuoverli anche dopo mesi in presenza di miglioramenti del quadro o qualora il paziente divenisse candidabile a chirurgia. Sulla base dei dati disponibili in letteratura sembra che mantenere uno stent per almeno un anno riduca il rischio di recidive. Gli stent metallici, vengono presi in considerazione solo quando la broncoscopia rigida per il posizionamento di stent siliconici non può essere eseguita.

Riferimenti bibliografici

  1. DiBardino DM, Kim RY, Cao Y. Diagnostic yield of cone-beam derived augmented fluoroscopy and ultrathin bronchoscopy versus conventional navigational bronchoscopy techniques. J Bronchol Interv Pulmonol. 2023; 30:335-345. DOI
  2. Thiboutot J, Illei PB, Maldonado F, on behalf of the Interventional Pulmonary Outcomes Group. Safety and feasibility of a sheat cryoprobe for bronchoscopic tranbronchial biopsy: the FROSTBITE trial. Respiration. 2022; 101:1131-1138. DOI
  3. Ravikumar N, Ho E, Wagh A, Murgu S. The role of bronchoscopy in the multidisciplinary approach to benign tracheal stenosis. J Thorac Dis. 2023; 15:3998-4015. DOI

Affiliazioni

Emanuela Barisione

UOC Pneumologia ad indirizzo Interventistico, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2024

Come citare

Barisione, E. (2024). Pneumologia Interventistica e Trapianto . Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 39(1), 10-12. https://doi.org/10.36166/10.36166/2531-4920-741
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