Correva l'anno 2017
Pubblicato: 2018-04-15

BPCO, Asma e Malattie Allergiche

Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi del Piemonte Orientale, SCDU di Pneumologia, ASL di Vercelli, Ospedale S. Andrea, Vercelli

Articolo

L’anno 2017 è stato particolarmente prolifico dal punto di vista scientifico per quanto riguarda lo studio dell’asma grave e dei biomarker utili ad individuarne i principali endo-fenotipi. Tra questi, il fenotipo dell’asma associato all’obesità è di grande interesse, in quanto caratterizzato da un peggior outcome in termini di gravità dei sintomi e resistenza alle comuni terapie inalatorie. L’obesità è una condizione clinica che viene definita da un valore di Body Mass Index (BMI) superiore a 30 kg/m2. Secondo la WHO, il 50% circa degli europei è sovrappeso, circa il 23% delle donne ed il 20% degli uomini sono obesi ed il 33% dei bambini è sovrappeso o obeso.

Per ragioni ancora in parte sconosciute, asma ed obesità sono due comorbilità che si influenzano vicendevolmente: l’asma, infatti, sembra peggiorare con l’aumento del BMI, mentre il calo ponderale favorisce il miglioramento dei sintomi asmatici. Inoltre, pazienti asmatici con un BMI superiore a 25 kg/m2 presentano, rispetto ai soggetti non obesi, una maggior frequenza di sintomi asmatici gravi (resistenti alla terapia farmacologica) e di ospedalizzazione; a questo consegue uno scadimento della “Quality of Life” (QoL), una predisposizione a presentare sintomi ansioso-depressivi, sedentarietà e, conseguentemente, peggioramento dell’obesità.

Sharma et al. 1 hanno pubblicato un interessante articolo sui macrofagi ed il loro ruolo nel sistema respiratorio come cellule fagocitiche residenti prendendo in considerazione l’asma associata all’obesità. I macrofagi vengono tipicamente suddivisi in due categorie: i macrofagi di tipo M1 che, attivati da stimoli antigenici secondo la “via classica”, hanno un ruolo importante nella difesa contro le cellule tumorali ed i patogeni intracellulari; i macrofagi M2, invece, vengono attivati secondo la “via alternativa” e difendono contro le infezioni da patogeni extra-cellulari. Macrofagi M1 ed M2 presentano pattern di espressione citochimica e recettoriale completamente differenti. La condizione asmatica è tipicamente associata alla presenza di macrofagi M2 nell’albero respiratorio, mentre nei soggetti obesi il tessuto adiposo è caratterizzato dalla presenza di macrofagi prevalentemente di tipo M1. Nei pazienti asmatici obesi, i macrofagi M1 dal tessuto adiposo producono citochine proinfiammatorie quali IL6, TNF-alfa, IL1-beta, leptine. L’IL1-beta, in particolare, favorisce la proliferazione di cellule ILC3 secernenti IL17, che contribuiscono all’infiammazione asmatica. Inoltre, la presenza di macrofagi M1 nel tessuto adiposo verosimilmente favorisce la migrazione degli eosinofili verso l’albero bronchiale. Altri studi sono necessari per approfondire i meccanismi fisiopatologici che correlano asma ed obesità, aprendo quindi lo scenario a nuovi target terapeutici.

Alterazioni della flora batterica sono state osservate da alcuni studi sia in pazienti asmatici che in pazienti obesi. In un interessante articolo scritto da Chung 2 è stata discussa l’importanza del ruolo del microbiota intestinale nell’infanzia per un suo possibile effetto diretto sulla flora batterica a livello polmonare (“gut-lung axis”). Con l’avvento delle tecniche di sequenziamento dell’rRNA 16s per l’identificazione del microbiota si è scoperto che nelle vie respiratorie distali dei soggetti sani sono presenti batteri saprofiti di diverse specie: Proteobacteria, Actinobacteria, Fusobacteria, Bacteroides e Firmicutes. Negli asmatici, il microbiota polmonare appare disregolato, con un’alterazione della composizione della popolazione batterica residente a favore dei Proteobatteri (soprattutto della specie Haemophilus). Nei pazienti con asma grave, in particolare, è osservata una disbiosi ancora più accentuata, in termini di numero di specie batteriche. Inoltre, la presenza di certi batteri patogeni, sia a livello intestinale che polmonare, nei primi anni di vita sembra essere associata ad un significativo aumento del rischio di asma allergico. A conferma di tale dato, è stato dimostrato anche che, in topi “germ-free”, la somministrazione di batteri provenienti da topi normali protegge dal successivo sviluppo di flogosi allergica polmonare. Tra i biomarker maggiormente studiati nell’asma, e particolarmente nel fenotipo grave, vi è l’ossido nitrico esalato o FeNO (Fractional Exhaled Nitric Oxide). Livelli di FeNO superiori a quelli normali riflettono l’aumentata espressione di iNOS (ossido nitrico sintasi inducibile) nell’albero respiratorio, indotta da citochine proinfiammatorie Th2-polarizzate, e sono correlati al grado di infiammazione eosinofilica delle vie aeree nei soggetti asmatici, soprattutto quelli non trattati. Pertanto, la misurazione del FeNO rappresenta attualmente un biomarker utile per il monitoraggio dell’infiammazione bronchiale nei soggetti asmatici. Anche se la misurazione del FeNO come test di routine per il monitoraggio del controllo dell’asma non è al momento ancora del tutto assodata, un interessante studio pubblicato di recente da Price et al. 3 ha dimostrato che la misurazione del FeNO può essere considerata come uno strumento semplice e non invasivo per predire la risposta ai corticosteroidi inalatori nei pazienti con sintomi “asthma-like”. In questo studio, 294 pazienti con sintomi respiratori quali tosse, dispnea, wheezing e test di broncodilatazione non significativo (definito da un aumento del FEV1 non superiore al 20% rispetto ai valori basali dopo inalazione di un beta2-agonista) sono stati randomizzati ed assegnati a 4 settimane di trattamento con corticosteroide inalatorio extrafine (800 μg di beclometasone dipropionato HFA al giorno) o placebo. È stata osservata una significativa correlazione tra i livelli basali di FeNO e l’aumento del punteggio medio ACQ7 (Asthma Control Questionnaire) nei pazienti trattati con corticosteroidi inalatori rispetto a quelli trattati con placebo (p = 0,044). Questi dati, pertanto, rendono assai interessante lo studio dell’applicazione del FeNO come predittore di buona risposta alla terapia con steroidi inalatori in pazienti con sintomi respiratori non specifici per asma. Questi dati fanno presumere che la misurazione del FeNO possa essere utile anche in altre patologie respiratorie, quali ad esempio la broncopneumopatia cronica ostruttiva con componente infiammatoria di tipo eosinofilo e/o con reversibilità parziale.

Riferimenti bibliografici

  1. Sharma N, Akkoyunlu M, Rabin RL. Macrophages - common culprit in obesity and asthma. Allergy. 2017.
  2. Chung KF. Airway microbial dysbiosis in asthmatic patients: a target for prevention and treatment?. J Allergy Clin Immunol. 2017; 139:1071-81.
  3. Price DB, Buhl R, Chan A. Fractional exhaled nitric oxide as a predictor of response to inhaled corticosteroids in patients with non-specific respiratory symptoms and insignificant bronchodilator reversibility: a randomised controlled trial. Lancet Respir Med. 2017; 6:29-39.

Affiliazioni

Mario Malerba

Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi del Piemonte Orientale, SCDU di Pneumologia, ASL di Vercelli, Ospedale S. Andrea, Vercelli

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2018

Come citare

Malerba, M. (2018). BPCO, Asma e Malattie Allergiche. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 33(2), 73-74. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2018-33-18
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