Serie - “Medicina di genere in Pneumologia”
Pubblicato: 2017-10-15

Basi biologiche e fattori di rischio delle differenze di genere nelle malattie respiratorie croniche

Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia
Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia
Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia
Asma BPCO Genere Basi biologiche Femmina

Abstract

Le patologie respiratorie costituiscono uno degli ambiti di studio più interessanti della medicina di genere e nel corso degli anni, molte malattie che prima rappresentavano un “primato maschile” stanno diffondendosi e guadagnando sempre maggiore interesse tra le donne; si pensi ad esempio alla BPCO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva) o anche alle neoplasie polmonari. Qui di seguito verranno presentati esempi di malattie respiratorie, con riferimento a basi biologiche, presentazione clinica e possibilità terapeutiche e di come queste differiscano rispetto al genere maschile.

Asma

L’asma è una malattia eterogenea, caratterizzata generalmente da un’infiammazione cronica delle vie aeree. Viene definita dalla storia dei sintomi respiratori quali sibili, dispnea, senso di costrizione toracica e tosse che variano nel tempo e in intensità e sono associati a una limitazione al flusso aereo valutata spirometricamente 1. Negli studi di prevalenza dell’asma tra i principali fattori di rischio viene annoverato il sesso femminile, con alcune variazioni in relazione all’età 2.

Le differenze di genere in ambito respiratorio sono presenti già nello sviluppo embrionale e il sesso stesso del feto influenza lo sviluppo dell’apparato respiratorio. Infatti, nei due sessi il polmone e le vie aeree presentano notevoli e significative differenze durante lo sviluppo embrionale, sia in termini anatomici che funzionali. Ad esempio, nei feti di sesso femminile sono maggiormente evidenti i movimenti buccali (espressione di respiro fetale), inoltre il surfactante viene prodotto più prematuramente. Ciò spiegherebbe il maggior rischio di malattia da distress respiratorio nei bambini di sesso maschile nati prematuri.

Alla nascita i polmoni delle bambine sono più piccoli di quelli dei bambini di pari peso e altezza. La loro crescita nel periodo postnatale è armonica per quanto riguarda il parenchima e le vie aeree. Diversamente, nei bambini le vie aeree tendono a crescere più lentamente rispetto al parenchima; pertanto, sino all’adolescenza, pur presentando polmoni più grandi, il calibro delle vie aeree è inferiore a quello delle femmine manifestando un rischio doppio rispetto alle bambine di sviluppare l’asma. Ciò è anche favorito dalle maggiori concentrazioni sieriche di IgE nei bambini 3 4.

Nei bambini l’asma tende poi a scomparire dopo l’adolescenza, e un ruolo importante è svolto, in tal senso, dai mutamenti delle vie aeree, caratterizzati dalla rapida espansione delle dimensioni della gabbia toracica, dall’aumento della forza dei muscoli respiratori e dall’aumento dei volumi polmonari.

Ne deriva che durante la pubertà e le età successive il rapporto della prevalenza asmatica si inverte, con una maggiore rappresentazione nel sesso femminile rispetto a quello maschile (9,7% delle donne vs 5,7% negli uomini) 5 6. È probabile che le modificazioni ormonali presenti nelle donne di età compresa tra gli 11 e 14 anni e le successive variazioni del ciclo mestruale siano responsabili di questa inversione di prevalenza tra i due sessi.

I livelli sierici di ormone follicolo-stimolante (FSH), ormone luteinizzante (LH), estradiolo, progesterone, e deidroepiandrosterone aumentano progressivamente nelle donne a partire dall’età di 8-10 anni, raggiungendo i valori degli adulti intorno ai 16 anni di età. Poi, alla menopausa, che si verifica in genere intorno ai 50 anni, si stabilisce un nuovo assetto ormonale: alti livelli di FSH e LH e bassi livelli di estrogeni e progesterone. Valutando i livelli sierici di estradiolo, progesterone e cortisolo in donne asmatiche rispetto a donne sane di controllo, è emerso che in circa l’80% delle donne asmatiche la concentrazione di almeno un ormone non rientra nel campo dei valori normali, indicando che l’asma nelle donne è molto frequentemente associato ad alterazioni nella produzione e metabolismo degli ormoni steroidei.

L’asma nelle donne è molto frequentemente associato ad alterazioni nella produzione e metabolismo degli ormoni steroidei.

Le cellule mediatrici dell’infiammazione (come i neutrofili e i macrofagi) possiedono dei recettori per gli estrogeni e gli androgeni e quindi la loro funzione viene influenzata dai livelli circolanti di ormoni sessuali.

In alcuni studi, gli estrogeni hanno dimostrato di possedere la capacità di inibire l’attività chemiotattica dei leucociti polimorfonucleati e dei monociti circolanti; mentre, al contrario, il progesterone aumenta l’attività chemiotattica. Sebbene, al momento, i dati non consentano un’interpretazione semplice in termini di effetti positivi o negativi dei diversi ormoni sessuali sui sintomi allergici e asmatici, l’infiammazione nell’asma può essere significativamente modulata dagli alterati rapporti e fluttuazioni degli ormoni sessuali 7. A conferma di ciò vi è l’osservazione che l’asma nelle donne varia in relazione alle fasi più endocrinologicamente significative nel corso della vita della donna quali gravidanza, ciclo mestruale e menopausa.

Asma e ciclo mestruale

Le donne in età riproduttiva sperimentano variazioni cicliche nella concentrazione sierica di ormoni sessuali. Durante i quattro giorni dopo le mestruazioni, FSH, LH, 17-β-estradiolo e i livelli sierici di progesterone sono bassi. Durante la fase follicolare del ciclo mestruale (giorni 1-14), i livelli sierici di progesterone rimangono bassi, mentre i livelli di FSH, LH e 17-β-estradiolo aumentano gradualmente fino a raggiungere il picco nella 14esima giornata. Infine, durante la fase luteale (giorni 15-28 del ciclo) i livelli di FSH e LH sono bassi, mentre il progesterone e i livelli sierici di 17-β-estradiolo sono moderatamente alti.

Osservazioni cliniche indicano che le fluttuazioni ormonali sopra descritte potrebbero essere responsabili dei cambiamenti ciclici dei sintomi asmatici riportati dalle pazienti. Il primo caso di asma catameniale risale al 1931 ed è stato descritto da Frank 8.

Circa un terzo delle donne asmatiche segnala un aumento dei sintomi di asma durante il periodo premestruale.

Successivamente un crescente numero di studi ha riportato casi di asma catameniale stimando che circa un terzo delle donne asmatiche segnala un aumento dei sintomi di asma durante il periodo premestruale, sebbene ciò non sia sempre confermato da una riduzione del picco di flusso espiratorio (PEF, Peak Expiratory Flow).

Durante il periodo premestruale aumenta la reattività alla metacolina 9, il consumo di broncodilatatori e il tasso di ospedalizzazione 10 11. Spesso il fenotipo di asma perimestruale si associa a sensibilità all’acido acetil-salicilico, meno frequentemente ad atopia e a una peggiore funzionalità respiratoria. Frequentemente queste donne hanno dismenorrea e sintomi premestruali quali cefalea, tensione addominale, nausea 12.

La mancanza di una costante associazione tra aumento dei sintomi dell’asma e compromissione della funzionalità delle vie aeree durante il periodo premestruale suggerisce che la presenza dei sintomi riferiti dalle pazienti può essere correlata oltre che a un effettivo aumento dell’ostruzione delle vie aeree, a una maggiore percezione dei sintomi a causa di uno stato psicologico alterato che precede le mestruazioni.

In effetti vi è un’ampia variabilità riguardo al periodo del ciclo mestruale in cui le pazienti riferiscono tale peggioramento; il 10% delle pazienti segnala un peggioramento dei sintomi asmatici durante il periodo premestruale, un altro 16% segnala tale peggioramento solo durante il periodo mestruale, mentre ben il 74% delle pazienti riferisce un peggioramento in entrambi i periodi 13.

L’asma premestruale può essere correlato alle alterazioni dei livelli di estrogeni e progesterone, alle variazioni dei loro rapporti, all’espressione dei loro recettori e alla loro interazione 14.

Estrogeni e progesterone hanno una grande varietà di effetti, a volte contrastanti, sia antinfiammatori che proinfiammatori. Il recettore per il progesterone è espresso sull’epitelio delle vie aeree e riduce il battito delle ciglia sopprimendo la clearance mucociliare nelle donne durante il ciclo mestruale. Gli estrogeni possono incrementare il rilascio di istamina dalle mastcellule; inoltre aumentano in modo significativo l’adesione degli eosinofili alle cellule endoteliali delle mucose e l’effetto sinergico di estrogeni e progesterone induce degranulazione degli eosinofili. Gli estrogeni, inoltre, inibiscono la produzione di cortisolo, il che contribuisce a peggiorare i sintomi dell’asma bronchiale. Tuttavia sono stati descritti anche effetti antinfiammatori degli estrogeni. Essi, infatti, inibiscono lo stress ossidativo nei leucociti e possono sopprimere l’infiammazione delle vie aeree incrementando il numero di cellule T regolatorie (T reg) con funzione immunosoppressiva 15.

È stato dimostrato, in diversi modelli sperimentali, che il progesterone esercita una serie di effetti di cui le pazienti asmatiche potrebbero beneficiare. Infatti è stato dimostrato come il progesterone eserciti alcuni effetti immunosoppressivi sull’attivazione linfocitaria, e riduca la contrattilità del muscolo liscio, bronchiale, oltre ad aumentare il drive respiratorio centrale, amplificare gli effetti dei corticosteroidi e inibire il rilascio di mediatori dell’infiammazione dai basofili umani 16.

L’assunzione di contraccettivi orali nelle donne asmatiche attenua l’iperreattività bronchiale e la variabilità del PEF, sopprimendo il rialzo fisiologico degli ormoni sessuali durante la fase luteinica.

L’assunzione di contraccettivi orali nelle donne asmatiche, sebbene non sempre dimostrato, attenua l’iperreattività bronchiale e la variabilità del PEF, sopprimendo il rialzo fisiologico degli ormoni sessuali durante la fase luteinica. Un meccanismo attraverso il quale i contraccettivi orali possono ridurre i sintomi è legato all’incremento delle cellule T reg che riducendo l’attività dei linfociti Th2 riducono l’immunoflogosi 17 18. Sono in corso studi su nuove formulazioni di contraccettivi orali che riducono il tempo di sospensione dello stesso al fine di garantire livelli più stabili nel tempo di ormoni sessuali; i risultati sono incoraggianti, ma sono necessari ulteriori valutazioni per confermarli 19.

Asma e gravidanza

L’asma rappresenta la più comune patologia respiratoria che può complicare la gravidanza. I dati disponibili descrivono un decorso estremamente variabile dell’asma in gravidanza, influenzato sia dalla gravità della condizione pre-esistente, che dai cambiamenti fisiologici che avvengono durante tale periodo.

In corso di gravidanza, infatti, si osserva un incremento del consumo di ossigeno e di tutto il metabolismo in generale e ciò a livello respiratorio si traduce in iperventilazione che, da molte donne gravide, viene percepita come dispnea. Inoltre, l’incremento volumetrico dell’utero determina una risalita del diaframma provocando una sensazione di ingombro e dispnea. Durante la gravidanza, infine, si può avere un peggioramento di un reflusso gastroesofageo, legato a un rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore indotto dal progesterone, che può essere causa dell’asma o comunque maggiore percezione dei sintomi (soprattutto la tosse) 20.

Il decorso clinico dell’asma durante la gravidanza è variabile; esso può peggiorare in circa un terzo delle donne in gravidanza, migliorare in circa un terzo e rimanere stabile in un terzo delle donne 21.

Anche se i meccanismi responsabili di queste variazioni non sono chiari, sembra che l’asma lieve possa migliorare, mentre le forme più gravi della malattia peggiorano più frequentemente.

In particolare il primo trimestre è generalmente ben tollerato nelle donne con asma lieve/moderato. Tra la 17esima e la 36esima settimana i sintomi si intensificano e più frequenti sono le riacutizzazioni. Infine tra la 37esima settimana e la 40esima, i sintomi si riducono così anche la frequenza delle riacutizzazioni. Il meccanismo che sottende a queste variazioni non è noto, sebbene possano essere coinvolte le variazioni dei livelli di ormoni sessuali, cortisolo e prostaglandine. Molto rari sono gli attacchi di asma durante il travaglio e il parto. Questo può, almeno in parte, essere dovuto all’aumento della prostaglandina E e del cortisolo durante il travaglio 22.

Anche il sesso del feto ha un ruolo importante; infatti, in caso di sesso femminile è stata riscontrata una maggiore variabilità del PEF, un incremento delle citochine di derivazione Th2 e una ridotta espressione dei recettori per i glucocorticoidi 23.

Ci sono ulteriori fattori che possono contribuire al decorso clinico dell’asma in gravidanza. Infatti la gravidanza in talune donne può rappresentare un evento stressante e le donne sono maggiormente suscettibili, rispetto gli uomini, al peggioramento sintomatologico dell’asma a seguito di eventi stressanti o gravi dispiaceri (divorzi, decessi, problemi economici, ecc.).

Anche l’aderenza alla terapia può variare durante la gravidanza e può essere responsabile di uno scarso controllo dell’asma. Spesso, infatti, sia i medici tendono a trattare in modo insufficiente l’asma in gravidanza, sia le donne tendono a non assumere correttamente i farmaci per timore di eventuali effetti teratogeni. È stato dimostrato che, a parità di gravità di riacutizzazione asmatica, le donne gravide non sono adeguatamente trattate con corticosteroidi orali e ciò le espone a un rischio maggiore di riacutizzazione entro due settimane dalla prima 24.

Le infezioni contratte durante la gravidanza possono interferire con il decorso dell’asma bronchiale. Infatti la ridotta attività dell’immunità cellulo-mediata e della produzione di interferone γ da parte delle cellule mononucleate periferiche, espone le gestanti al rischio di contrarre infezioni virali. Le infezioni delle alte vie aeree sono considerate le maggiori cause di riacutizzazione nelle donne asmatiche, come dimostrato dalla frequenza di positività dei tamponi nasofaringei. Anche la sinusite, un fattore scatenante noto per l’asma bronchiale è sei volte più frequente nelle gestanti che nelle non gestanti 25.

L’asma in gravidanza, se non adeguatamente trattato e controllato, può essere associato a una serie di eventi avversi materni tra cui ipertensione, pre-eclampsia, diabete gestazionale, emorragie vaginali ante- e post-partum. Inoltre è associato a un aumentato rischio di nascite pretermine, ritardo di crescita intrauterina nonché aumento del rischio di sequele neurologiche e comportamentali.

L’asma in gravidanza, se non adeguatamente trattato e controllato, può essere associato a una serie di eventi avversi materni tra cui ipertensione, pre-eclampsia, diabete gestazionale, emorragie vaginali ante- e post-partum.

Il trattamento dell’asma in gravidanza, il cui principale obiettivo è quello di garantire un adeguato apporto di ossigeno al feto ed evitare eventi di ipossigenazione alla madre, non è dissimile da quello delle donne non gestanti e i corticosteroidi per via inalatoria rappresentano i farmaci di elezione. Diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra consumo di corticosteroidi per via inalatoria e incidenza di malformazioni fetali, associazione smentita da altri 26. Piuttosto essa sarebbe legata non all’effetto teratogeno dei farmaci, ma alle conseguenze delle gravi riacutizzazioni asmatiche a cui vanno incontro alcune donne. Poiché la budesonide è il corticosteroide sul quale sono stati condotti più studi, rimane quello preferito da utilizzare in gravidanza ed è il farmaco di prima scelta per quelle donne che devono iniziare il trattamento durante la gravidanza. Tuttavia, al momento non vi sono dati circa la non sicurezza degli altri corticosteroidi inalatori. Ad esempio, recentemente, uno studio non ha dimostrato differenze in termini di nascite pretermine o basso peso alla nascita tra le donne asmatiche trattate con budesonide e quelle trattate con fluticasone 27. I b2-agonisti a breve durata d’azione rimangono i farmaci cardine per la terapia d’urgenza anche in gravidanza. I b2-agonisti a lunga durata d’azione devono essere utilizzati nelle gravide solo nel caso in cui i sintomi non siano adeguatamente controllati dai corticosteroidi. Un numero limitato di studi è disponibile circa l’utilizzo di tali farmaci e, al momento, tali studi non hanno dimostrato differenze tra salmeterolo e formoterolo per quanto riguarda il basso peso alla nascita e le nascite pretermine 27. Sebbene nelle donne gravide vi sia un’incrementata produzione di metaboliti della 5-lipoossigenasi, di cui i leucotrieni sono un esempio, al momento mancano studi circa l’utilizzo di antileucotrienici durante la gravidanza. Studi preliminari hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di malformazioni fetali in caso di assunzione 28.

È interessante rilevare un legame tra asma e fertilità. Dati recenti hanno dimostrato che l’asma riduce la fertilità e determina un ritardo di concepimento. Donne asmatiche non trattate hanno un ritardo di concepimento rispetto alle donne non asmatiche; nell’ambito delle donne asmatiche, quelle che eseguono correttamente la terapia e con asma controllato, hanno un tempo di concepimento inferiore rispetto a quelle con asma non controllato. Tutto ciò suggerisce che l’infiammazione non adeguatamente trattata può avere un impatto negativo sulla fertilità. Il reale meccanismo che lega l’asma alla fertilità rimane non del tutto definito. Tuttavia, è stato suggerito che la natura e il grado di infiammazione che caratterizzano l’asma giocano un ruolo importante e l’asma non allergico, l’asma non trattato e l’asma severo sono quelli con maggiore impatto sulla fertilità. L’infiammazione negli asmatici coinvolgerebbe altre mucose e tessuti oltre a quella bronchiale; in effetti un incremento delle cellule infiammatorie, dei mediatori flogistici è stato rilevato anche a livello dell’utero e delle tube uterine delle donne asmatiche, potendo contrastare la normale funzione di questi tessuti 29.

Asma e menopausa

La menopausa può coincidere con l’esordio clinico dell’asma, una constatazione supportata da studi epidemiologici che hanno registrato un picco nella frequenza di inizio dell’asma nelle donne intorno ai 50 anni, l’età media di insorgenza della menopausa 30-32.

Studi epidemiologici hanno registrato un picco nella frequenza di inizio dell’asma nelle donne intorno ai 50 anni, l’età media di insorgenza della menopausa.

Quando l’asma inizia in menopausa è spesso caratterizzato da:

  1. assenza di una storia familiare di asma;
  2. assenza di atopia;
  3. associazione con sinusite ricorrente e/o orticaria/angioedema;
  4. maggiore gravità e più frequenti riacutizzazioni;
  5. ricorso a steroidi sistemici per il controllo dei sintomi;
  6. presenza di un’infiammazione bronchiale prevalentemente neutrofilica;
  7. incremento dei livelli urinari e bronchiali di LTE-4 che la rende maggiormente suscettibile di trattamento con antileucotrienici 33.

È stato suggerito che quando l’asma insorge dopo la menopausa, questo sia dovuto a una riduzione degli estrogeni. Tuttavia, studi orientati a indagare il rapporto tra asma in periodo perimenopausale e assunzione di terapia ormonale sostitutiva hanno evidenziato risultati controversi.

Una possibile spiegazione di tali controversie può essere legata all’abitudine tabagica che contrasta gli effetti degli estrogeni, o alla coesistenza dell’obesità nelle donne in menopausa che per motivi sia meccanici che biochimici è associata all’asma 34. Nelle pazienti obese, infatti, l’accumulo di grasso sulla parete toracica e sul diaframma può compromettere l’espansione toracica, determinando una riduzione dei flussi aerei quali FEV1 e FVC, suggestivi di un pattern restrittivo, ma anche una precoce chiusura delle vie aeree. La deposizione di grasso tra muscoli e cute diminuisce, inoltre, la compliance della parete toracica aumentando così la domanda metabolica e il carico respiratorio dell’obeso anche a riposo. Una certa quota della diminuita funzionalità respiratoria degli obesi è anche dovuta alla diminuita attività fisica, il che peggiora ancora di più la dispnea. L’obesità, inoltre, è considerata di per sé una malattia infiammatoria. Il tessuto adiposo, infatti, è molto ricco di macrofagi attivati. Inoltre gli adipociti producono due sostanze attive in tal senso: la leptina e l’adiponectina. La prima svolge un ruolo proinfiammatorio ed è capace di potenziare la risposta immune, la seconda ha effetti antinfiammatori. Nel paziente obeso le concentrazioni sieriche di leptina sono superiori alla norma suggerendo una resistenza a questo ormone a livello recettoriale. La leptina stimola le cellule CD4+ e incrementa il rilascio di TNF-a e IL-6 che determinano infiammazione a livello delle vie aeree e incremento dell’iperreattività bronchiale aspecifica.

Da un punto di vista clinico gli asmatici obesi mostrano disparità nella risposta alla terapia e hanno un rischio cinque volte superiore rispetto ai non obesi di ricovero per riacutizzazioni asmatiche.

Il trattamento dell’asma nelle donne obese non si discosta dagli altri tipi di asma, sebbene sia stata notata una minore efficacia dei corticosteroidi per via inalatoria. Invece, il miglioramento dei sintomi e la riduzione delle riacutizzazioni si possono ottenere con un progressivo dimagrimento in regime dietetico controllato, oppure, ove necessario, mediante il ricorso alla chirurgia bariatrica. È importante sia nelle donne obese che non un adeguato apporto di vitamina D che ha un ruolo protettivo nei confronti dell’iperreattività bronchiale e di ferro 35. Una sua riduzione, infatti, determina attivazione delle mastcellule, inoltre l’anemia può peggiorare la dispnea che può essere erroneamente un sintomo di scarso controllo dell’asma.

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria cronica prevenibile e trattabile e caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazione al flusso aereo, che è causata da alterazioni delle vie aeree e/o alveolari correlata, generalmente, a esposizione a inquinanti inalatori. Tra le numerose noxae esogene, le principali sono il fumo di sigaretta e l’inquinamento ambientale 36.

Storicamente la BPCO è stata considerata una patologia maschile a causa delle più elevate percentuali di fumatori e della più frequente esposizione occupazionale ad agenti irritanti nel sesso maschile. L’incremento dell’abitudine tabagica nelle donne e il loro progressivo ingresso nel mondo del lavoro hanno portato alla riduzione di queste differenze.

Attualmente, un’ostruzione bronchiale cronica moderata-severa è presente nel 14% degli uomini e nel 6% delle donne di età superiore ai 45 anni; si ritiene che entro il 2020 sarà documentato un incremento di prevalenza pari al 50% negli uomini e al 130% nelle donne.

Si ritiene che entro il 2020 sarà documentato un incremento di prevalenza della BPCO pari al 50% negli uomini e al 130% nelle donne.

L’abitudine tabagica, prima del 1957, era prerogativa maschile: infatti in Italia fumava solo il 6,2% di soggetti di sesso femminile a fronte del 65% di sesso maschile. Attualmente l’Istituto Superiore di Sanità stima che tale abitudine coinvolga il 22,3% delle donne, soprattutto giovani, a fronte del 28,9% degli uomini. Ovviamente tra le rilevanti problematiche di salute nelle donne dipendenti da questa abitudine voluttuaria, vi è anche un significativo incremento di incidenza del tumore polmonare.

Le donne, a parità di esposizione al fumo di sigaretta, presentano una più grave ostruzione bronchiale.

Le donne, a parità di esposizione al fumo di sigaretta, valutato come pack/year, presentano una più grave ostruzione bronchiale suggerendo, in tal senso, una maggiore suscettibilità al fumo. Studi hanno dimostrato che ciò è vero sino a un’esposizione pari a 20 pack/year, mentre per esposizioni superiori il declino funzionale delle donne diventa sovrapponibile a quello degli uomini 37.

La maggiore suscettibilità delle donne al fumo di sigaretta può essere imputata a diversi fattori:

  1. il minor calibro delle vie aeree e la maggiore reattività bronchiale presenti nel sesso femminile;
  2. le donne scelgono più frequentemente sigarette light e ritenendole meno dannose ne fumano un quantitativo maggiore 38;
  3. per avere un maggiore livello di soddisfazione le donne aspirano più frequentemente e più profondamente, in tal modo il fumo rimane per più tempo negli alveoli e determina un danno tossico maggiore;
  4. studi hanno dimostrato che gli estrogeni determinano un’attivazione degli enzimi del complesso citocromo P450, rendendo le donne più suscettibili al danno ossidativo in risposta al fumo di sigaretta. Gli estrogeni sono pertanto capaci di aumentare il metabolismo della nicotina e rallentare l’eliminazione di sostanze tossiche derivate dal fumo 39. D’altro canto, prima della menopausa gli estrogeni svolgono un ruolo protettivo nei confronti della BPCO in quanto stimolando le telomerasi, riducono l’accorciamento dei telomeri 40. Quest’ultimo, ampiamente studiato nei pazienti con BPCO, è responsabile del processo di senescenza cellulare caratteristico della BPCO.

Tuttavia circa il 15% dei soggetti con BPCO non riferisce il dato anamnestico di abitudine tabagica e il sesso femminile costituisce l’80% di tale gruppo. Tali dati suggeriscono che le donne sono più vulnerabili ad altri fattori di rischio che non sia il fumo di sigaretta. In ambito occupazionale, il rischio per le donne è legato all’esposizione a sostanze detergenti, prodotti sterilizzanti, disinfettanti, gas anestetici, pesticidi e polveri organiche, prodotti chimici e solventi. Negli ultimi anni sempre più frequentemente le donne occupano mansioni lavorative che prima erano di pertinenza solo maschile risultando esposte a sostanze per lungo tempo responsabili di manifestazioni cliniche solo negli uomini 41. Inoltre le donne, soprattutto asiatiche, sono esposte a inquinamento indoor dato dai fumi di combustione degli oli di cottura responsabili di una più rapida riduzione della funzione polmonare rispetto gli uomini 42.

Le caratteristiche cliniche della BPCO differiscono nei due sessi. Le donne, infatti, manifestano maggiormente la dispnea e meno frequentemente l’espettorazione a parità di FEV1. Si ritiene che ciò sia riferibile, in parte, a una minore percezione della dispnea da parte degli uomini perché tendenzialmente più allenati e al fatto che per motivi culturali, le donne riferiscono meno frequentemente l’espettorazione. Negli uomini più che nelle donne il declino del FEV1 è correlato con la gravità dei sintomi 43 44.

Anche le caratteristiche radiologiche sono dissimili nei due sessi 45. Infatti nel sesso maschile prevale il quadro enfisematoso con distruzione del parenchima polmonare, nelle donne vi è maggiormente un coinvolgimento bronchiale con ispessimento della parete. In parte ciò è legato all’azione ormonale; infatti il testosterone potenzia l’azione di distruzione degli alveoli causando enfisema. Mentre nelle donne vi è un incremento della produzione di VEGF e IL-6 che sono implicati nel processo di aumento e remodeling vascolare a livello polmonare tipici della bronchite cronica 46.

Nel sesso maschile prevale il quadro enfisematoso con distruzione del parenchima polmonare, nelle donne vi è maggiormente un coinvolgimento bronchiale con ispessimento della parete.

Per quanto riguarda le riacutizzazioni, intese come cambiamento dei sintomi al di là della variabilità giornaliera, vi è da notare che per le donne le più comuni cause sono le infezioni virali delle alte vie aeree, mentre per gli uomini le infezioni dell’albero tracheobronchiale 47.

Dall’analisi dei risultati dello studio TORCH emerge che le donne riacutizzano più frequentemente degli uomini e il sintomo maggiormente riferito è la dispnea 44. Tuttavia ricorrono più tardivamente alle cure mediche, probabilmente anche per il loro frequente ruolo di caregiver che le distoglie dai propri problemi di salute e hanno tempi di ospedalizzazione più protratti rispetto gli uomini, per le numerose comorbilità, pur avendo un rischio di mortalità simile a quello degli uomini.

I pochi studi che hanno valutato le differenze di comorbilità nei pazienti affetti da BPCO hanno rilevato che vi sono differenze per quanto riguarda il genere maschile e femminile. In particolare, le patologie cardiovascolari e il diabete sono maggiormente frequenti negli uomini, mentre osteoporosi, reflusso gastroesofageo, ansia e depressione nelle donne. Quest’ultima è spesso correlata a una peggiore qualità di vita nelle donne ed è causa di ospedalizzazione 48.

Per quanto concerne il trattamento, gli studi di farmacologia non sono disegnati per sottolineare le differenze tra i due sessi. Al momento, infatti, pur considerando trial clinici con numerosi campioni, le donne sono poco rappresentate; inoltre raramente è stato approfondito come differenze di anatomia polmonare e fisiologia possano modificare i dosaggi e l’efficacia dei farmaci inalatori.

La disassuefazione dall’abitudine tabagica, primo e imprescindibile intervento terapeutico nella BPCO, può avere effetti differenti in relazione al sesso. In effetti, l’attivazione dei sistemi dopaminergici legati al fumo è differente nei due sessi. Gli uomini, infatti, sono più sensibili alla nicotina, mentre le donne alle sensazioni e alla gestualità legate al fumo di sigaretta. Questo spiegherebbe perché nel processo di disassuefazione l’utilizzo dei sostituti della nicotina quali cerotti o gomme da masticare siano più efficaci negli uomini, mentre nelle donne sono efficaci terapie farmacologiche a base di bupropione e vareniclina. Interessante è notare come, a un anno dalla sospensione dell’abitudine tabagica, le donne abbiano un miglioramento del FEV1 2,5 volte maggiore rispetto agli uomini 49.

Al momento i farmaci utilizzati per il trattamento della BPCO, siano essi corticosteroidi per via inalatoria o broncodilatatori, sono ugualmente efficaci negli uomini e nelle donne in termini di miglioramento dei sintomi, qualità di vita, rischio di riacutizzazioni. Tuttavia, lo scarso ricorso alla diagnostica della BPCO nel sesso femminile legato a un pregiudizio di base del medico, più frequentemente portato a sospettare la presenza della BPCO nel sesso maschile, determina spesso inappropriatezza terapeutica.

Di contro, come dimostrato alcuni anni or sono, solo il 4% delle donne a cui erano stati prescritti usava corticosteroidi inalatori (ICS) rispetto al 43% degli uomini. Spesso questo atteggiamento è legato al timore di effetti correlati all’assunzione di corticosteroidi (osteoporosi, diabete, ecc.). Un interessante e recente studio di Shih-Feng et al. 50 ha però dimostrato come addirittura l’utilizzo di ICS possa ridurre il rischio di osteoporosi. Diversi possono essere i motivi responsabili di questa inversione di tendenza: l’utilizzo regolare, quando indicato, degli ICS, riduce l’infiammazione sistemica nella BPCO responsabile delle comorbilità, tra le quali vi è l’osteoporosi, che ovviamente aggravano il decorso clinico della BPCO. L’utilizzo regolare degli ICS, sempre ove indicato, riduce il numero di riacutizzazioni e quindi il ricorso ai corticosteroidi sistemici, questi ultimi responsabili di osteoporosi. Infine la loro assunzione, riducendo i sintomi, migliora la qualità di vita e stimola l’esercizio fisico rallentando la riduzione della mineralizzazione ossea indotta dall’inattività. Per ciò che concerne i device inalatori, tendenzialmente è suggerita una predilezione delle donne all’utilizzo delle polveri rispetto agli spray.

Sempre per quanto riguarda il trattamento terapeutico, è stato valutato come la somministrazione di azitromicina nella prevenzione delle riacutizzazioni della BPCO sortisce migliori effetti nelle donne rispetto agli uomini, senza tuttavia raggiungere la significatività statistica 51.

Infine per quanto concerne la riabilitazione, a tre mesi dalla sospensione, i risultati raggiunti nei due sessi sono ugualmente mantenuti. Dopo 18 mesi questi erano costantemente mantenuti negli uomini, ma non nelle donne. Haggerty et al. 52 hanno dimostrato che i benefici ottenuti dai trattamenti riabilitativi nelle donne riguardavano soprattutto la sfera psicosociale ed emozionale, a differenza degli uomini dove questi erano per lo più legati alle performance fisiche.

Altre patologie respiratorie

Il tumore del polmone è stato da sempre considerato una patologia tipicamente maschile ma, a partire dagli anni sessanta, l’incidenza e la mortalità a esso correlate sono aumentate anche nelle donne, tanto che il tumore del polmone è addirittura diventato in alcuni paesi del mondo la principale causa di morte per cancro, superando il tumore della mammella. Questo è da correlarsi principalmente all’incremento dell’abitudine tabagica fra le donne, anche se va sottolineato che, se si osservano i casi di tumore polmonare tra i soggetti non fumatori, questi sono prevalentemente donne 53.

A parte l’incidenza, diversità di genere sono state associate alla progressione della neoplasia, alla sopravvivenza e alla risposta terapeutica. Meccanismi biologici, comportamentali e ambientali possono spiegare queste differenze. Infatti l’oncogenesi è un processo complesso, multifattoriale che coinvolge differenti fattori sia legati all’ospite, quali sesso, età, assetto ormonale e fattori ambientali come fumo, dieta, inquinamento ambientale, esposizione a sostanze cancerogene.

La migliore prognosi del tumore del polmone nelle donne è legata a minori comorbilità, una miglior performance, un minore consumo di alcool e a una minore esposizione professionale a cancerogeni.

Esistono dati di letteratura che suggeriscono che nelle donne la malattia viene diagnosticata in età più giovane e per lo più si tratta di adenocarcinomi; indipendentemente dallo stadio di malattia, nelle donne questa sembra rispondere meglio alle cure, pur registrandosi una peggiore tossicità ai farmaci. In parte la migliore prognosi nelle donne è legata a minori comorbilità, una miglior performance, un minore consumo di alcool nelle donne e a una minore esposizione professionale a cancerogeni.

A parità di esposizione al fumo di sigaretta, le donne, avendo una maggiore suscettibilità agli agenti cancerogeni delle sigarette, hanno un rischio doppio degli uomini fumatori di sviluppare un tumore polmonare rispetto al sesso maschile 54. Gli effetti benefici della cessazione dell’abitudine tabagica, determinano, in entrambi i sessi, un ritardo di circa 10 anni nell’insorgenza del tumore polmonare.

I cancerogeni contenuti nelle sigarette quali gli idrocarburi policiclici aromatici e il 4-1-butanone, richiedono un’attivazione metabolica per poter esibire i loro effetti mutageni. Ci sono d’altro canto, delle vie di detossificazione che competono con l’attivazione metabolica di queste sostanze; il bilanciamento tra i meccanismi differisce nei diversi individui e determina il rischio cancerogeno. Molte sostanze procancerogene sono convertite a metaboliti biologicamente reattivi dagli enzimi del complesso del citocromo P 450, appartenente alla classe di enzimi di fase I. Questo processo di attivazione metabolica porta alla formazione di addotti di DNA. Se questi sfuggono ai meccanismi di riparazione cellulare e persistono, possono risultare in una permanente mutazione del genoma e così inizia il processo di trasformazione neoplastica. Se una mutazione permanente, infatti, si realizza a livello di una regione critica di un oncogene e un gene oncosoppressore, può portare all’attivazione del primo o silenziamento del secondo. Molti eventi di questo tipo possono portare alla formazione di cellule aberranti con perdita di controllo della crescita e, alla fine, al tumore polmonare.

Dopo la reazione di I fase, gli enzimi della II fase come il glutatione transferasi, sono responsabili della detossificazione delle forme attivate dei prodotti cancerogeni. Nelle donne fumatrici si ha una maggiore espressione degli enzimi di fase I rispetto agli uomini fumatori e, probabilmente, il tutto è indotto dagli estrogeni.

Polimorfismi genetici sono stati individuati sia negli enzimi di fase I che di fase II e, alcuni di questi mostrano differenze sesso specifiche.

Ad esempio, la metalloperossidasi è un enzima della fase I che converte i metaboliti di benzopirene del fumo di tabacco in epossidi altamente reattivi. Un polimorfismo della regione promotrice della metalloperossidasi è stato trovato come inversamente associato al rischio di neoplasia polmonare e sono state suggerite differenze nell’associazione con età e sesso 55.

Le donne hanno una maggiore espressione del gene CYP1A 1, enzima della fase I, che codifica per enzimi che metabolizzano gli idrocarburi policiclici contenuti nel fumo di tabacco. L’aumentata espressione porta a una maggiore espressione di addotti di DNA che possono rappresentare il primo passo per la cancerogenesi 56 57. Inoltre, l’enzima glutatione transferasi M1, enzima di fase II, compete con gli enzimi prodotti dal gene CYP1A1, inibendo la formazione di specie reattive per l’ossigeno. Tuttavia questo enzima è assente nel 40-60% delle persone e la sua assenza può rappresentare un aumento della suscettibilità a sviluppare il tumore polmonare. Tang et al. 58 hanno dimostrato che nelle donne questo enzima è assente con una frequenza pari al doppio rispetto agli uomini, rendendole ad alto rischio di sviluppare un tumore polmonare.

Terapia sostitutiva con estrogeni, ciclo mestruale breve e menopausa tardiva aumentano il rischio di adenocarcinoma nelle donne.

Anche l’assetto ormonale, inteso come valori ormonali, livelli di espressione dei recettori per gli ormoni e caratteristiche cliniche ormonali, quali la data del menarca, il numero di figli, l’età della menopausa hanno un ruolo importante, sebbene non completamente definito, nel processo di tumorigenesi polmonare. In effetti, terapia sostitutiva con estrogeni, ciclo mestruale breve e menopausa tardiva aumentano il rischio di adenocarcinoma nelle donne. Si pensa, ad esempio, che gli estrogeni possano giocare un ruolo nella genesi di tumori del polmone attraverso diversi meccanismi, quali la proliferazione cellulare indotta dall’interazione con i ligandi del recettore dell’estrogeno e il cross-talk tra i recettori degli estrogeni e i recettori dei fattori di crescita (es. recettori del fattore di crescita epidermico). Vi sono poi evidenze sull’espressione del recettore progestinico nei tumori del polmone non a piccole cellule; estrogeni e progesterone lavorano sinergicamente in vitro nella promozione della secrezione del fattore di crescita vascolare, nell’aumentare l’angiogenesi associata al tumore e quindi la progressione dello stesso. Il recettore β degli estrogeni si trova sia nel polmone sano che in quello affetto da neoplasia, è espresso ugualmente sia nelle donne che negli uomini. Mentre il recettore a, che normalmente non è presente nel tessuto polmonare, può essere sovra espresso nel polmone delle donne con adenocarcinoma polmonare. Questo non è unanimemente confermato dagli studi nei soggetti di sesso maschile ove l’espressione varia dal 7 al 97% della popolazione studiata. Inoltre, solo nelle donne, a differenza degli uomini, i recettori si legano all’estradiolo circolante stimolando la proliferazione cellulare 57 59 60.

Recentemente è stato individuato che l’attivazione del gene per il recettore del gastrin releasing peptide, localizzato sul cromosoma X, sfugge all’inattivazione del cromosoma X nelle donne ed è correlato con la risposta proliferativa nelle cellule bronchiali. L’uso di tabacco è associato con l’inattivazione di questo gene che porta alla proliferazione delle cellule bronchiali e allo sviluppo della neoplasia polmonare. La più alta espressione di questo gene è stata vista nelle donne fumatrici seguita da donne non fumatrici, uomini fumatori e uomini non fumatori. In assenza delle sigarette il gene è espresso meno. L’espressione del recettore è aumentata dall’esposizione agli estrogeni 61.

Sebbene il fumo di sigaretta rappresenti il maggiore fattore di rischio per il tumore polmonare, circa il 25% dei pazienti con neoplasie polmonari non è fumatore e altri meccanismi sono coinvolti. Per quanto concerne l’espressione di specifiche alterazioni genetiche esistono differenze rilevanti tra uomini e donne: quella più conosciuta è sicuramente la mutazione del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), che si riscontra con maggiore frequenza in presenza di alcuni fattori clinici, quali la diagnosi di adenocarcinoma, il sesso femminile, la razza asiatica e la condizione di non fumatore. La presenza di tali mutazioni rende lo scenario terapeutico più vario potendo far ricorso alla target therapy, ovvero all’utilizzo di inibitori delle tirosina kinasi con risultati incoraggianti in termini di aumento di sopravvivenza.

Le mutazioni di K-ras sono storicamente correlate all’abitudine tabagica e al sesso maschile, ma esistono dati in letteratura che descrivono la presenza di mutazioni “non classiche” a carico di K-ras nei non fumatori e nelle donne.

La mutazione a carico di B-Raf viene descritta nel 2% circa degli adenocarcinomi. La mutazione più frequente, V600Z, è più frequente nelle donne e si accompagna a un peggiore andamento della malattia 62 63.

Vi sono altre cause di aumentato rischio di sviluppo di neoplasie polmonari nelle donne non fumatrici nei paesi poco industrializzati (Cina e Taiwan) ove i fumi di cucina derivati dalla combustione di biomasse e dall’utilizzo di oli, contengono sostanze, quali acroleina e benzene, che sono potenti cancerogeni 64.

Infine nelle donne è stata notata una significativa associazione tra infezione da HPV (virus del papipilloma umano) e neoplasia polmonare; uno studio metanalitico ha dimostrato che in più del 20% dei tumori polmonari, sia adenocarcinomi che carcinomi squamocellulari, era identificabile genoma virale. Questo agisce a livello polmonare così come a livello della cervice uterina per quanto riguarda la capacità cancerogena e può essere rinvenuto a livello polmonare in parte perché il tessuto polmonare è notevolmente ricco di sistema reticoloendoteliale che cattura il virus circolante, sia perché trasportato da cellule metastatiche provenienti dalla cervice 65.

In conclusione, differenze di genere vengono descritte per quanto riguarda i tumori polmonari in termini di dati epidemiologici, caratteristiche biomolecolari e cliniche della malattia. Al momento non esiste un differente approccio alla patologia in ambito diagnostico o terapeutico.

Per quanto concerne le altre patologie polmonari, al momento non vi è una florida letteratura circa le differenze di genere. Ad esempio, per ciò che concerne la sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (OSAS), questa interessa maggiormente gli uomini rispetto alle donne. Il principale fattore di rischio è l’obesità che determina un aumento di grasso in regione perifaringea predisponendo all’occlusione delle vie aeree durante il sonno. Nelle donne la sua incidenza aumenta nel periodo postmenopausale ed è legata a un aumento del peso corporeo.

Anche per la fibrosi cistica, patologia geneticamente determinata, sono riportate delle differenze legate al sesso, non per quel che concerne la prevalenza che è simile nei due sessi, ma per la sua evoluzione. In effetti nelle bambine la fibrosi cistica è diagnosticata più tardivamente rispetto ai maschi, in quanto il maggior calibro delle vie aeree e la minore reattività bronchiale determinano una minore percezione della sintomatologia durante i primi anni di vita.

Per la fibrosi cistica esistono delle differenze legate al sesso, non per quel che concerne la prevalenza che è simile nei due sessi, ma per la sua evoluzione.

Ciò porta a un ritardo diagnostico e terapeutico e quindi a una prognosi peggiore. Inoltre le donne presentano più precocemente l’infezione da Pseudomonas aeruginosa e, una volte infettate, hanno un più rapido declino della funzione polmonare. Lo Pseudomonas, inoltre, nelle donne si modifica precocemente diventando più aggressivo e resistente attraverso la formazione di biofilm; sia in vivo che in vitro è stato dimostrato che gli estrogeni possono modulare la creazione del biofilm attraverso la soppressione della lattoferrina 66 67. Alcuni autori hanno dimostrato che le donne presentano più riacutizzazioni della patologia polmonare durante l’ovulazione, ovvero quando sono più alti i livelli di estrogeni, mentre l’utilizzo dei contraccettivi orali può ridurre la loro incidenza 68.

Pochi dati, invece vi sono circa le differenze di genere per ciò che concerne le bronchiectasie non associate a fibrosi cistica sebbene risulta che in età adulta sono più frequenti nel sesso femminile ove hanno un andamento più aggressivo perché determinano più frequenti riacutizzazioni e più spesso, rispetto agli uomini, sono colonizzate dal Mycobacterium avium intracellulare 69. Infine, nelle donne sono più frequenti le bronchiectasie associate a patologie reumatologiche quali artrite reumatoide e sindrome di Sjogren. Al momento mancano dati circa i possibili effetti ormonali sulle bronchiectasie, in particolare gli effetti della menopausa e della gravidanza.

Nell’ambito delle interstiziopatie polmonari è importante ricordare la LAM (linfoangioleiomiomatosi), malattia rara, progressiva e invalidante che coinvolge in modo pressoché esclusivo il sesso femminile in età fertile, tra la terza e la quarta decade di vita. Gli estrogeni possono essere considerati un fattore di rischio in quanto la LAM peggiora clinicamente durante terapie ormonali con estrogeni. D’altro canto l’IPF (Fibrosi polmonare idiopatica), patologia notevolmente complessa, è più frequente tra i soggetti di sesso maschile, con un rapporto tra maschi e femmine compreso tra 1,6:1 e 2:1. Secondo alcuni Autori, il decorso clinico e la prognosi della malattia sono più favorevoli nel sesso femminile 70 71.

In conclusione, talune patologie dell’apparato respiratorio presentano differenze tra i due sessi, in termini di prevalenza, decorso clinico e risposta terapeutica. L’esatta motivazione di queste differenze è di tipo multifattoriale, pur riconoscendo un ruolo fondamentale all’azione degli ormoni sessuali a livello dell’apparato respiratorio. Particolare attenzione, quindi dovrebbe essere posta sia nell’ambito della ricerca che della clinica al fine di garantire un precoce riconoscimento delle patologie, un adeguato trattamento e garantire una migliore e più prolungata sopravvivenza.

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Affiliazioni

Maria Cristina Colanardi

Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia

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Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia

Giovanna Elisiana Carpagnano

Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, MAR 4 Universitaria, P.O. Colonnello D’Avanzo, Foggia

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2017

Come citare

Colanardi, M. C., Foschino Barbaro, M. P., & Carpagnano, G. E. (2017). Basi biologiche e fattori di rischio delle differenze di genere nelle malattie respiratorie croniche. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 32(5), 225-235. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2017-32-52
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