Medical Humanities e Pneumologia
Pubblicato: 2017-10-15

Michel Foucault: un’indagine su medicina e potere - Quarta parte

Medico Specialista in Malattie dell’Apparato Respiratorio Specialista in Chemioterapia Storico e Filosofo della Medicina

Abstract

Le opere del filosofo francese Michel Foucault (1926-1984) costituiscono uno dei momenti più interessanti, acuti e complessi della ricerca filosofica del XX secolo. Il suo lavoro sul costituirsi della malattia come oggetto di indagine e contemporaneamente di repressione e di controllo sul corpo rimane un contributo insostituibile per chiunque voglia cercare di comprendere le interazioni e le influenze storiche e sociali che sono alla base di ogni interpretazione della condizione di salute e di quella di malattia nelle diverse epoche. Una possibilità affascinante per chi non voglia limitarsi alla sola conoscenza biologica di questi fenomeni.

Articolo

Con l’avanzare dell’Età Moderna i roghi iniziarono a spegnersi. Per un intellettuale scomodo e indipendente come Giordano Bruno si arrivò tuttavia al supplizio sulla pubblica piazza (1600). La figura di Bruno fu occasione di particolare scandalo e irritazione per la Santa Inquisizione e per il cardinale S. Roberto Bellarmino che la presiedeva. L’intelligenza anticonformista e il pensiero tagliente del filosofo di Nola erano portatori di un insegnamento in rotta di collisione con le verità dogmatiche della chiesa della Controriforma.

Il sorgere degli stati nazionali nel continente europeo costrinse i sovrani temporali a stabilire delle modalità di convivenza sociale in armonia all’attività lavorativa e commerciale. Il potere del re derivava da una affermata legittimità divina e il sovrano si rendeva conto di come il proprio regno non potesse tollerare dei sudditi impegnati a vivere in modo anarchico o che non riconoscessero attraverso il proprio comportamento l’autorità regale. La chiesa permetteva ancora all’interno del popolo di Dio rare sacche di devianza, funzionali all’esercizio di un potere temporale e spirituale insieme. Additare l’esempio del diverso come portatore di un comportamento da non imitare risultava in questo caso funzionale a un ruolo ecclesiastico di guida spirituale e di insegnamento. Forniva la possibilità di mostrarsi caritatevoli e ottenendo in cambio una funzione direttiva per i credenti di ciò che non bisognava essere, di opere che non occorreva fare.

Tuttavia il sovrano di uno stato nazionale non era il papa e il re non poteva concedersi gesti di clemenza gratuiti e frequenti, rivolti verso un numero elevato di persone. La medicalizzazione del diverso, la sua reclusione tra le mura di un istituto costituivano un monito efficace perché non divenisse vantaggioso il mostrarsi diverso, il ribellarsi a un progetto educativo comune predisposto dalle nascenti strutture statali, che ambivano a mostrarsi alternative al potere religioso e necessitavano di acquisire una legittimità e un prestigio autonomi. Il deviante, il diverso, chi forniva delle occasioni di scandalo, vennero confinati pertanto in uno spazio di sicurezza, in cui il loro influsso destabilizzante sulle strutture di relazione sociale e di produzione venne ridotto al minimo e venne reso invisibile, pur continuando questi poveretti a esistere e a soffrire. Descrivendo i serbatoi di follia e di diversità che si erano venuti a costituire in quegli anni, in osservanza e sostegno all’autorità regale e laica, così scrisse Foucault:

Dal momento che i luoghi di internamento erano espressione diretta del potere e che questo si esercitava attraverso leggi e disposizioni, la giurisprudenza prese il sopravvento rispetto alla medicina nel definire il folle. L’Età Moderna vide l’intervento preminente del magistrato che ordinava la reclusione, decretando la separazione del diverso dal corpo sociale in una modalità indipendente da quanto avrebbe potuto stabilire il medico. A partire dalla seconda metà del XVII secolo la follia era divenuta un problema di sensibilità sociale ed era stata ritenuta simile al delitto. Lo scandalo e il disordine da essa generati vennero perseguiti attraverso gli strumenti del diritto, modificando attraverso una disposizione regia la concezione classica del diritto romano e di quello canonico che erano stati prima seguiti. Queste due normative riconoscevano al folle un’immunità giuridica dettata da uno stato di impotenza mentale e dalla necessità di dipendere dal soccorso e dall’aiuto altrui per la propria sussistenza. L’internamento del folle si venne a configurare come una punizione di tipo etico e l’intera problematica dell’alienazione slittò dal contesto medico e sanitario verso un ambito di tipo morale, divenne una devianza da perseguire, visto che correggerla e renderla normale non era quasi mai possibile.

Non ci si deve meravigliare dell’approvazione che nel XVII e XVIII secolo accolsero lo stabilirsi di una comunanza tra la follia e la colpa, affermando una stretta parentela tra l’alienazione e la malvagità individuale. Questa valutazione non derivava dalle conclusioni di un sapere scientifico, ma da una presa di posizione ideologica. Una visione perseguita lucidamente e a priori dal potere politico. La follia costituiva un vero e proprio fattore di disturbo per la condizione umana, la quale aveva da poco scoperto la ragione e il dubbio sistematico che ne conseguiva attraverso il pensiero di Francis Bacon e René Descartes. La pazzia abbassava l’uomo al livello dell’animale e rinnegava quei valori che fin dall’antichità avevano distinto il genere umano. Valori caratteristici della ragione e della logica, che conferivano all’uomo la dignità di cui l’Età Moderna iniziava a farsi vanto attraverso l’opera dei propri filosofi e scienziati. Uomini che venivano onorati e utilizzati dal potere statale come un baluardo ideologico nei confronti di quello ecclesiastico che aveva dominato fino a poco tempo prima. L’animalità del folle, il proprio autoescludersi deliberato dal contesto sociale, fissavano il limite da non valicare da parte della ragione. Rappresentavano un’onta per il comune sentire della nascente borghesia, per le necessità commerciali e produttive attraverso cui questa classe sociale iniziava a esercitare il suo nuovo e importante potere:

Con l’Illuminismo le cose cominciarono a cambiare nei confronti della malattia e della follia, almeno per quanto riguardò la concezione degli Ospedali. L’Illuminismo fece appello alla ragione dell’uomo e agli strumenti conoscitivi propri della scienza come mezzo di lotta contro l’ignoranza e la superstizione. Come aveva affermato Immanuel Kant, l’Illuminismo consisteva per l’uomo nell’uscire da uno stato di tutela mantenuto per secoli da chi, come la Chiesa, si era fatto garante unico nei confronti di una libera interpretazione del mondo. Attraverso l’uso della ragione la persona si liberava dai condizionamenti della superstizione. Acquisiva una dignità connaturata al proprio esistere, legata all’individualità e alle idee professate. Un essere umano consapevole, per la prima volta nella storia, di possedere alcuni diritti intoccabili 2 3.

Cesare Beccaria (1738-1794) scrisse in quegli anni e pubblicò il trattatello Dei Delitti e delle Pene, in cui propugnò l’abolizione della pena di morte. Un piccolo volume che divenne rapidamente celebre e letto in tutta l’Europa del tempo. La ridefinizione delle caratteristiche delle strutture carcerarie, che avrebbero dovuto divenire luoghi di reclusione e di rieducazione a lungo termine dal momento che le punizioni corporali o le esecuzioni pubbliche venivano respinte dal pensiero degli Illuministi, segnò anche la nascita di una diversa concezione dell’ospedale. Da luogo di assistenza per i poveri e di soccorso sociale per gli indigenti l’ospedale divenne progressivamente un territorio sorvegliato in cui veniva praticata una terapia scientifica, vale a dire basata sull’esperienza medica consolidata e su di una visione razionale delle malattie. Philippe Pinel (1745-1826) fu il primo medico che iniziò a tentare di curare i pazienti psichiatrici gravi e non solo, come era divenuta consuetudine, ad accontentarsi di tenerli rinchiusi. Come direttore del reparto psichiatrico dell’Ospedale della Salpêtrière a Parigi inaugurò un metodo di trattamento della follia completamente differente dal passato e più umano.

I malati vennero liberati dalle catene e dai mezzi di contenzione più oppressivi. Nella pratica clinica Pinel diede importanza a nuovi elementi terapeutici. Si sforzò di costruire un rapporto personale di fiducia con il paziente alienato e gli concesse di esercitare delle attività manuali, anticipatrici della moderna ergoterapia. Secondo Pinel le malattie psichiatriche erano dovute a fattori ereditari, associati alla presenza di istituzioni carenti e inutilmente coercitive. Potevano aggravare la malattia mentale uno stile di vita irregolare, l’abbandonarsi a delle passioni eccessive, come la collera, il panico, oppure il perdere un ruolo sociale ben definito, con il passaggio da una vita attiva e produttiva a una inattiva. Anche i conflitti interiori potevano scatenare la follia nei soggetti più fragili, come il contrasto tra le pulsioni istintuali e incontrollabili del proprio carattere e l’insegnamento religioso, oppure le cattive abitudini che deterioravano l’integrità fisica e psichica dell’organismo, come l’alcolismo e l’uso di droghe, per finire con i traumi del cranio e dell’encefalo. A giudizio di Pinel l’effetto sulla follia delle malattie organiche era secondario, mentre una maggiore rilevanza venne attribuita ai comportamenti devianti, che potevano in molti casi essere corretti. Una visione ottimistica, quella del medico francese, figlia delle idee dell’Illuminismo e fiduciosa nelle capacità innate dell’uomo e nelle sue illimitate possibilità di apprendere e di modificare i propri errori seguendo le direttive della ragione, favorito da un’educazione lungimirante. Le condizioni di vita dei reclusi venivano sì migliorate, nessuno era più costretto a rivoltarsi tra gli escrementi o a essere sottoposto a punizioni corporali. Ma questo avveniva sempre in un contesto di prigionia, in uno spazio protetto dagli sguardi dei normali e delimitato da mura invalicabili, entro cui risultava facile ricadere negli abusi e si perpetuava una realtà di emarginazione dal resto della comunità umana 2 3.

Pinel visse in un’epoca a cavallo tra gli entusiasmi della Rivoluzione francese e l’espansione trionfante napoleonica, per terminare la propria vita nel cuore del periodo della Restaurazione monarchica e del regno del gretto re Luigi XVIII (1814-1824), un sopravvissuto dell’Ancien Régime in pieno Ottocento. Un’epoca contrassegnata dai ritorni al passato, del prevalere della mentalità e degli impulsi irrazionali del Romanticismo sulla lucidità e la sicurezza di intenti che avevano animato gli illuministi. Furono anni in cui si vide il re Carlo X (1824-1830) rivendicare di nuovo, in modo convinto e penosamente anacronistico, il potere sacrale del re di Francia, giungendo al ridicolo di effettuare l’antico rituale medievale del toccamento terapeutico dei malati affetti dalla scrofola, la tubercolosi linfoghiandolare. Pertanto, il 31 maggio 1825 oltre un centinaio di sfortunati ricevettero inutilmente il contatto con la mano del loro sovrano, che pronunciò, si ignora quanto credendoci davvero e nel disincanto generale dei medici e delle persone istruite, l’antica e pomposa formula uscita da un recesso dei secoli bui: «… Io ti tocco, Dio ti guarisca! …».

Tempi nuovi erano alle porte. Le rivoluzioni del 1848 spazzeranno via gli ultimi resti dell’Ancien Régime e si accompagneranno all’affermazione di una scienza medica di origine saldamente positivistica, basata sull’affidamento incondizionato e totale al metodo sperimentale. Una medicina scientifica e razionale che non dimenticherà di procurarsi solidi referenti politici a sostegno, come l’abilità organizzativa e relazionale di un importante scienziato del Secondo Impero, Claude Bernard (1813-1878), starà a dimostrare 3.

Il sapere medico si rinnovava e si poneva nuovi e ambiziosi obiettivi di affrancamento dal dolore e dalle malattie, sostenuti però da un’accorta gestione dei rapporti con il potere e da una rivendicazione della medicina come una forma particolare di dialogo politico. Una modalità che nella Germania imperiale del kaiser sarà sostenuta con la propria indiscussa autorità da Rudolf Virchow (1821-1902). Uno scienziato consapevole di ricoprire un ruolo pubblico prestigioso e che accompagnò la propria importante teoria cellulare alla consapevolezza che la medicina non fosse altro, per dirla con le sue stesse parole, che politica condotta con altri mezzi. Una personalità forte, quella di Virchow, la quale rivendicò per il medico il compito di essere prima di tutto un intellettuale che interveniva per modificare le condizioni di vita della società e che influenzerà per decenni analoghe prese di posizione di alcuni scienziati negli altri grandi stati nazionali europei 3.

Questa interazione complessa tra medicina e potere risulta utile per comprendere le idee di Foucault a riguardo del ruolo storico svolto dalle classi dirigenti. Un compito di indirizzo e di decisione rivolto verso specifici obiettivi. Un potere che veniva esercitato secondo un’articolazione di tipo reticolare nei diversi ambiti sociali, in cui alcuni attori, come i folli, potevano essere momentaneamente tollerati, oppure venire reclusi, in accordo con la visione dominante nella scienza medica del tempo. Per difendere il proprio ruolo di potere, la medicina sapeva intrecciare con il sentire comune dei rapporti non sempre lineari e trasparenti. Anche la gestione e l’utilizzo delle verità scientifiche venivano attraversati da questa alternanza di visioni ideologiche tra gruppi di potere in lotta tra di loro. Deve essere ricordata l’attività di indirizzo nella ricerca scientifica esercitata dalla committenza. Il ricercatore e lo scienziato vengono indirizzati e a volte coartati nel loro agire, in un modo più o meno consapevole, da chi finanzia la sperimentazione. Esemplare fu il caso del geniale chimico Fritz Haber (1868-1934) e del suo lavoro nella Germania di Guglielmo II. Le ricerche di Haber sui fertilizzanti sintetici ebbero come non trascurabile effetto collaterale quello di rendere il paese indipendente dalle importazioni di composti azotati di origine animale. Tuttavia queste sostanze chimiche, oltre che all’agricoltura, servivano a produrre proiettili d’artiglieria ed esplosivi e munizioni in quantità illimitata. Si trattò di una grande scoperta, premiata con il premio Nobel nel 1918, che oltre ad aumentare le rese agricole permise alla Germania di liberarsi dal controllo esercitato sui trasporti marittimi dei fertilizzanti naturali dalla onnipresente flotta inglese e di essere pronta a scatenare la Prima Guerra Mondiale con gli arsenali ben forniti di proiettili.

Il linguista Roman Jakobson (1896-1982) ha descritto l’influenza della committenza nell’elaborazione delle produzioni letterarie dei grandi autori rinascimentali. Perché non considerare un’azione di questo tipo anche sulla ricerca scientifica? Appare utopistico pensare a un’indipendenza completa del ricercatore medico, che si dimostra invece come un vaso d’argilla tra enormi contenitori di bronzo, ricchi di risorse economiche, quali sono le grandi multinazionali farmaceutiche. Aziende rette dalla logica del profitto, le quali elargiscono finanziamenti unicamente a chi promette risultati coerenti con i loro interessi commerciali 4 5.

A volte le finalità degli imprenditori della salute corrispondono con quelle dei malati e dei sofferenti, almeno nel loro esito finale dichiarato che dovrebbe consistere nel migliorare lo stato dei pazienti. In realtà il percorso attraverso il quale si arriva a questo prodotto ultimo, consistente nel ristabilimento di una buona condizione di equilibrio tra le varie funzioni biologiche, appare radicalmente differente tra chi produce e fornisce il rimedio traendone un profitto e chi ne dovrà usufruire. Molti farmaci, anche di provata efficacia, non vengono infatti sintetizzati e distribuiti se non risultano redditizi. Il loro costo di produzione, divenuto nel tempo troppo basso oppure il brevetto, magari scaduto, non li rendono più remunerativi. Si preferisce abbandonare delle molecole ancora valide e sintetizzabili facilmente per suggerire l’impiego di farmaci nuovi, ottenuti a prezzo di investimenti elevati e non sempre radicalmente migliorativi rispetto a quelli che vanno a sostituire. Questo risultato avviene attraverso un’opera di convincimento condotta sugli organi di controllo oppure influenzando i principali mediatori di informazione scientifica.

Si tratta di meccanismi che l’eredità del pensiero di Michel Foucault può contribuire a spiegare, grazie alla sua complessità e ricchezza. Non dobbiamo dimenticare la sua riflessione sulla capacità del potere di non svolgere solo una funzione repressiva. Un potere che si perpetua tollerando e incanalando gli strumenti del consenso e perfino del dissenso. Riemergendo ogni tanto dal magma degli avvenimenti storici in modo nuovo, fornendo modelli esistenziali cui aderire, creando bisogni da soddisfare. In poche parole dissimulandosi, per continuare a esistere.

Figure e tabelle

Michel Foucault con Jean-Paul Sartre.

Philippe Pinel (1745-1824).

Riferimenti bibliografici

  1. Foucault M. Storia della follia nell’Età Classica.. BUR: Milano; 2003.
  2. Shorter E. A History of Psychiatry. From the era of Asylum to the age of Prozac.. Wiley: Hoboken; 1997.
  3. Perozziello FE. Storia del Pensiero Medico, III volume.. Mattioli 1885: Fidenza (Parma); 2008.
  4. Perozziello FE. Storia del Pensiero Medico, IV volume.. Mattioli 1885: Fidenza (Parma); 2010.
  5. Jakobson R. Saggi di linguistica generale.. Feltrinelli: Milano; 1966.

Affiliazioni

Federico E. Perozziello

Medico Specialista in Malattie dell’Apparato Respiratorio Specialista in Chemioterapia Storico e Filosofo della Medicina

Copyright

© Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (AIPO – ITS) , 2017

Come citare

Perozziello, F. E. (2017). Michel Foucault: un’indagine su medicina e potere - Quarta parte. Rassegna Di Patologia dell’Apparato Respiratorio, 32(5), 251-254. https://doi.org/10.36166/2531-4920-2017-32-57
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