La genesi dell’orrore. Nascita e ideologia dell’Eugenetica e delle sue conseguenze - Terza parte
Abstract
Un saggio dedicato all’origine dell’applicazione pratica delle teorie derivate dall’Eugenetica nel regime nazista. Questa vicenda deve essere conosciuta nei suoi dettagli per meglio comprendere i pericoli che rimangono presenti nella Scienza moderna, la quale tende a seguire in modo acritico il metodo sperimentale senza una riflessione etica indispensabile sulle conseguenze delle proprie ricerche. Gli orrori provocati dalla sperimentazione medica dei nazisti rimangono come testimonianza efficace a non dimenticare questi pericoli e segnano la necessità di migliorare la preparazione dei medici anche da un punto di vista bioetico e filosofico.
Articolo
Bisogna segnalare come le tesi relative all’Eugenetica germogliassero in biologia e in medicina proprio negli stessi anni in cui stava avvenendo, in modo silenzioso, una separazione epistemologica tra la Medicina e le altre Scienze della natura. Si trattò di una frattura che vide negli ultimi tre decenni del secolo XIX e nei primi del XX una svolta e l’imboccare da parte della Medicina una strada che appare ancora oggi senza ritorno oppure dei ripensamenti. La medicina abbracciò senza autocritiche di natura epistemologica il Metodo sperimentale e la sua interpretazione statistica del mondo naturale, abbandonando ogni riflessione etica che permettesse ai ricercatori di tener conto della relatività delle loro scoperte e dell’impossibilità di raggiungere nello studio del corpo umano e di tutte le scienze a esso collegate delle verità scientifiche assolute.
La Medicina si separò dalla più modesta e consapevole visione ideologica e programmatica delle altre discipline scientifiche, come la Fisica, la Matematica, la Chimica, che si andavano invece in quegli stessi anni interrogando nelle loro ricerche sull’impossibilità di ottenere dei risultati scientifici completamente esatti e indiscutibilmente veri. Questa forma di autocritica e di ricerca di una consapevolezza delle proprie limitazioni era stata provocata dallo sviluppo della Fisica quantistica. Tuttavia in biologia e in medicina i successi che venivano ottenuti erano troppo eclatanti nelle loro ricadute pratiche sulle persone. In Germania il contesto di adesione degli scienziati alle richieste del potere divenne particolarmente coerente e prese a fare parte del progetto di costruzione della grande entità statale tedesca.
Uno degli esempi più inquietanti a riguardo venne costituito dalla costruzione di una società nazista in cui il bene del singolo risultava secondario rispetto a quello della nazione. Questa affermazione era dimostrabile dalla larga adesione dei medici tedeschi al Partito Nazista e dalla tenue presenza di un’opposizione politica e sociale esercitata dalla classe medica. Facendo riferimento al Giuramento di Ippocrate i medici avrebbero dovuto opporsi alla pratica di ogni forma di eutanasia indiscriminata. I medici tedeschi erano consapevoli di quanto stava accadendo oltre le mura dei finti nosocomi costruiti ad arte per l’eliminazione dei disabili, eppure tacquero. Le percentuali di adesione dei medici al partito nazista furono impressionanti. Si trattò di numeri più elevati rispetto a qualsiasi altra professione. All’incirca il 45% dei medici divennero membri del Partito Nazista, mentre tra gli insegnanti gli aderenti erano solo il 20% e ben il 7,3% dei sanitari fecero inoltre parte delle SS contro il solo 0,4% degli insegnanti 1,2.
La costruzione di una grande nazione pangermanica voluta dal cancelliere prussiano Otto von Bismark (1815-1898) nella seconda metà del XIX secolo si era basata da un punto di vista ideologico sull’affermazione della superiorità dello Stato tedesco e dei suoi abitanti su ogni altra popolazione europea. Pilastro portante di tale asserita verità era stata l’esaltazione della capacità del cittadino del Secondo Reich Imperiale (1871-1918) di volere e di sapere subordinare le proprie esigenze di individuo a quelle di una grande patria che gli assicurava un benessere sociale avanzato rispetto ad altri stati europei dell’epoca. Privilegi, quelli del cittadino tedesco, pagati attraverso la rinuncia alla possibilità di sostenere un dissenso politico e con l’acquiescenza alle decisioni del potere costituito. La Germania Imperiale del Kaiser era uno stato autoritario e legittimato in quanto tale dalla propria autorevolezza ideologica priva di sostanziali obiezioni e da un controllo poliziesco e capillare del dissenso 2,3.
Il manifesto ideologico del nazismo fu il Mein Kampf (La mia battaglia), il libro scritto dallo stesso Adolf Hitler tra il 1923 e il 1924 durante la prigionia seguita al fallito colpo di stato di Monaco di Baviera del novembre del 1923. Era un testo dettato al suo fedele seguace di partito e compagno di cella Rudolf Hess che venne in stampato in milioni di copie appena Hitler arrivò al potere nel gennaio del 1933. Le idee portanti di quel volume erano costituite dall’ideale della sottomissione incondizionata al capo e dal sostenere l’ineguaglianza naturale tra gli uomini, un principio in base al quale le masse si dovevano sottomettere in modo incondizionato ai loro capi e le razze considerate inferiori a quelle superiori. Una superiorità il cui vertice era costituito dalla così detta razza ariana, ben rappresentata dal popolo germanico. Tali idee aberranti trovarono un sostegno e un’accurata e capillare opera di divulgazione grazie a due personalità dotate di buona cultura e di una particolare capacità di utilizzo mediatico del loro sapere aberrante. Si trattava di due intellettuali aderenti entusiasti e consapevoli della prima ora al Nazionalsocialismo, l’ideologo del partito nazista, Alfred Rosemberg (1893-1946) e il ministro della propaganda, il tristemente noto Joseph Goebbels (1897-1945), il principale responsabile della formidabile macchina di consenso che venne costruita a sostegno del Regime utilizzando con larghi mezzi i nuovi strumenti mediatici: la radio e il cinema 3,4.
Goebbels proveniva da una famiglia cattolica e aveva studiato lettere e filosofia fino al dottorato presso le due università di Bonn e di Heidelberg. Ministro della propaganda dopo la vittoria dei nazisti nelle elezioni del 1933, Goebbels utilizzò in modo geniale i moderni mezzi di comunicazione per esaltare le idee e i programmi di rinnovamento sociale di Adolf Hitler e del Nazionalsocialismo. Operò deformando sistematicamente la realtà e adattandola alla visione ideologica del Regime perché i dittatori e i loro seguaci conoscono bene cosa sia la prima cosa da fare quando si raggiunge il potere oppure si lotti per conseguirlo e questa consiste nell’impadronirsi dei mezzi di comunicazione. Si tratta di una procedura che può essere condotta in un modo più o meno evidente a seconda del sistema politico e dell’epoca in cui venga articolata. La regola deliberata da questo gerarca nazista poteva essere declinata attraverso una formula seguita ancora oggi da parte di ogni sistema totalitario: la realtà è quella che viene raccontata. Goebbels costruì sapientemente il culto della personalità del Führer, dell’obbedienza e della fiducia cieca nelle decisioni del dittatore che venivano sempre annunciate come infallibili 4,5.
Diverso e più complesso risulta il discorso da farsi per Alfred Rosemberg. Considerato il custode e il divulgatore del nucleo più importante del pensiero di Hitler, Rosemberg aveva avuto una giovinezza segnata dall’odio per i Bolscevichi. Era nato in Estonia, nella Russia zarista, da una famiglia di tedeschi dei Paesi Baltici. Aveva frequentato l’università a Riga e in seguito quella di Mosca da cui era fuggito all’affermarsi del comunismo. Il suo odio verso gli Ebrei era profondo e incrollabile, come le sue idee a riguardo della supremazia della così detta razza ariana. Fu autore di un libro utilizzato come materia d’insegnamento nelle scuole tedesche e che gli diede notorietà internazionale. Questo testo aberrante recava il titolo di Il Mito del XX Secolo (Der Mythus des 20 Jahrhunderts). Nel suo libro Rosemberg riprendeva le idee che erano state del conte Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882), un diplomatico e scrittore francese celebre per la sua opera Essai sur l’inégalité des races humaines (Saggio sulla diseguaglianza delle Razze umane). De Gobineau, un autore fondante per il razzismo europeo, sosteneva la divisione dell’Umanità in Razze, un concetto che non avrebbe dovuto rivestire alcuna credibilità da un punto di vista scientifico e biologico 6,7.
Rosemberg seguiva inoltre le teorie di altri ideologi del razzismo e della superiorità della razza bianca, come il britannico Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), il genero del musicista Richard Wagner e autore di testi cui Rosemberg si sarebbe direttamente ispirato. Un altro autore e teorico del razzismo che avrebbe influenzato l’attività di Rosemberg fu lo statunitense Madison Grant (1865-1937), un avvocato e antropologo proveniente da una famiglia anglosassone tra le più antiche del New England. Grant sosteneva la superiorità della razza nordica europea sulle altre tipologie etniche ed era preoccupato per gli effetti della grande migrazione negli Stati Uniti di inizio secolo XX da parte di migliaia di europei di provenienza mediterranea oppure slava che a suo dire avrebbero indebolito gli anglosassoni fino a farli scomparire. Era un etologo e un naturalista capace che si spese con passione nel salvataggio di specie arboree e di animali in pericolo di estinzione e che probabilmente vedeva le diverse etnie umane attraverso la medesima logica. Da quest’attenzione al mondo della natura derivarono molte idee di Grant sull’Eugenetica intesa come si trattasse di un procedimento scientifico e necessario che egli espose in un suo libro del 1916, The Passing of the Great Race: or The Racial Basis of European History (Il passaggio della Grande Razza: ovvero, la base razziale della storia europea) 7.
Grant era favorevole a una selezione operata dall’uomo sui nuovi nati che preservasse le caratteristiche di purezza e di superiorità della popolazione di origine nordeuropea che era giunta per prima negli U.S.A., arrivando a ipotizzare un sistema attivo di sterilizzazione da diffondere negli stati americani abitati dai bianchi di origine anglosassone. Possiamo leggere di un tale progetto in una delle pagine del suo libro:
“Un rigido sistema di selezione attraverso l’eliminazione di coloro che sono deboli o inadatti – in altre parole fallimenti sociali – risolverebbe l’intera questione in cento anni, oltre a permetterci di sbarazzarci degli indesiderabili che affollano le nostre carceri, ospedali e manicomi. L’individuo stesso può essere nutrito, educato e protetto dalla comunità durante la sua vita, ma lo stato attraverso la sterilizzazione deve fare in modo che la sua linea si fermi con lui altrimenti le generazioni future saranno maledette con un carico sempre crescente di sentimentalismo fuorviato. Questa è una soluzione pratica, misericordiosa e inevitabile dell’intero problema e può essere applicata a una cerchia sempre più ampia di scarti sociali, iniziando sempre con il criminale, il malato e il pazzo ed estendendosi gradualmente a tipi che possono essere chiamati deboli piuttosto che difettosi e forse in definitiva a tipologie di razza senza valore.”
Madison Grant, The Passing of the Great Race: or The Racial Basis of European History,
Eastford, CT, USA, Martino Fine Books, 2017 7
La dizione di “razze senza valore” può da sola dare la misura della discriminazione assoluta e priva di ogni autocritica che l’aveva generata. Nei primi decenni del XX secolo gli Stati Uniti furono infatti all’avanguardia nell’applicazione di pratiche di sterilizzazione forzata, divennero una nazione anticipatrice dell’Eugenetica mondiale. La prima legge in questo senso venne varata nel 1907 nello Stato dell’Indiana e riguardava appunto la sterilizzazione forzata. Era una normativa rivolta ai ricoverati negli ospedali psichiatrici a carico all’assistenza statale. Delle apposite commissioni di esperti formate da medici e giuristi avrebbero dovuto valutare il grado della loro deficienza mentale sulla scorta di appositi test psicologici. Coloro che fossero ritenuti troppo gravi e non autosufficienti dovevano essere sottoposti a sterilizzazione coatta per preservare la società dal doversi fare carico in futuro di nuove bocche da sfamare appartenenti a soggetti inabili al lavoro e all’attività produttiva. Negli anni seguenti tale pratica si estese anche ad altri stati degli U.S.A., oltre venti, tanto che le sterilizzazioni forzate furono alcune decine di migliaia 8,9.
Anche in Svezia e negli stessi anni la prassi della sterilizzazione per i malati e gli inabili mentali conobbe un certo successo. Si trattava di un’applicazione pratica delle politiche di igiene pubblica che erano germogliate da un Darwinismo malinteso ed estremista, un’ideologia applicata che affondava le sue radici, difficilmente estirpabili, nel convincimento della filosofia positivista che ogni aspetto della vita dell’uomo fosse migliorabile intervenendo in modo razionale sulle caratteristiche biologiche e sociali degli individui. La ricerca e l’applicazione di un’oggettività sperimentale assoluta, rivendicata e ricercata dalla scienza, che la medicina e la biologia della fine del secolo XIX accettarono con pochi ripensamenti, fu il terreno fecondo su cui germogliò la pianta della discriminazione razziale. L’opinione pubblica rimase affascinata da questo messaggio ideologico solo apparentemente e saldamente scientifico, un messaggio che asseriva come si potesse intervenire sulle persone migliorandole allo stesso modo di un allevatore che selezioni alcune vacche da latte oppure dei prestigiosi cavalli da corsa. La politica, la filosofia e la religione non contrastarono e disapprovarono abbastanza queste idee che sembravano indubitabili, grazie al prestigio che la medicina moderna si stava guadagnando affrancando l’umanità da flagelli secolari come la sifilide e le malattie infettive in genere 10,11.
Quando la Germania nazista iniziò a praticare l’eugenetica l’esempio costituito dagli Stati Uniti attraverso la sterilizzazione forzata risultò essere un punto di inizio per intraprendere un processo che sarebbe giunto a estendere la gravità dei suoi interventi passando dalla sterilizzazione dei malati di mente non autosufficienti all’eutanasia degli stessi e di tutti i soggetti che fossero, indipendentemente dall’età, in una condizione di minorità e di non adeguatezza ai criteri di una normalità vera oppure presunta, i cui confini divennero labili o quantomeno elastici. Vennero applicati dei criteri di inclusione ed esclusione che erano stati descritti e fissati da alcune commissioni di medici e di giuristi appositamente selezionate dallo Stato. Lo stesso Adolf Hitler lesse con approvazione il libro di Madison Grant e manifestò in più occasioni un certo compiacimento per come negli Stati Uniti fosse stato risolto radicalmente il problema del controllo e dell’annientamento di un’etnia giudicata inferiore, come gli Indiani d’America. Eppure e grazie alla Biologia molecolare sappiamo oggi come il patrimonio genetico degli esseri umani sia costante e identico nei suoi tratti fondamentali a dispetto delle diversità morfologiche esteriori, che chiamiamo con il nome di Fenotipi. All’epoca in cui queste teorie furono enunciate e divulgate l’apparente razionalità di una supremazia degli uomini bianchi e tra questi ultimi dell’esistenza di una razza superiore nordica e ariana, rivestivano una loro autorevolezza legata al pregiudizio e all’interesse generati dalla sopraffazione politica ed economica delle grandi potenze impegnate nell’opera di asservimento coloniale del Mondo 12,13. Secondo le idee folli, ma come si è visto niente affatto nate dal nulla di Alfred Rosemberg, gli Ariani erano stati i fondatori e gli animatori di tutte le grandi civiltà del passato in un percorso storico interpretato in modo delirante che comprendeva l’antico Impero Persiano, gli invasori Dori della Laconia, la città di Sparta, i Romani e così via. Le grandi civiltà romana e greca erano state fecondate e promosse dal loro contatto attraverso le migrazioni dei Popoli del Nord che avevano fatto da promotori in tutte le maggiori conquiste dell’Antichità Classica. Stampato in milioni di copie, il libro di Rosemberg, Il Mito del XX Secolo, conteneva anche un’interpretazione particolare del Cristianesimo in cui la figura di Gesù Cristo veniva presentata come quella di un superuomo liberatore dell’umanità dall’elemento ebraico. Rosemberg poi osteggiava le confessioni cristiane praticate in Germania, il Cattolicesimo e il Protestantesimo e fece pubblica domanda di essere sbattezzato. Questo fondo ideologico neopagano provocò una forte inimicizia tra l’ideologo del regime nazista e la Chiesa cattolica e le opere di Rosemberg finirono presto all’Indice dei libri proibiti. Hitler d’altronde si presentava all’opinione pubblica tedesca più conservatrice come il difensore e il garante dei valori tradizionali della religione e della famiglia e pur apprezzando Rosemberg in privato e per i suoi scritti evitò di dare al suo ideologo di riferimento un sostegno pubblico eclatante. Quest’ambivalenza di comportamenti in campo religioso era comune nelle alte sfere del regime, come risultava dal comportamento del potente gerarca Heinrich Himmler che praticava in segreto dei riti misterici e iniziatici neopagani con la sua più ristretta corte di fedelissimi delle SS. Il Reichsführer, ovvero il comandante in capo delle SS, credeva di essere la reincarnazione del re germanico medievale Enrico l’Uccellatore (876-936) e tuttavia teneva in pubblico un comportamento molto più neutro e semmai caratterizzato in senso ateo o comunque laico 14,15.
A completamento di questo desolante e tuttavia presente e ascoltato panorama di razzisti e di teorici della sopraffazione interumana, facevano da ulteriore sostegno le idee dello scrittore e storico americano Lothrop Stoddard (1883-1950) che erano in voga all’epoca tra gli americani più conservatori e nazionalisti. In un passaggio del romanzo il Grande Gatsby del 1925, opera dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald, il personaggio del ricco e annoiato miliardario Tom Buchanan legge compiaciuto un libro di Stoddard che si scagliava con forza nei suoi scritti contro il pericolo bolscevico e il comunismo, responsabili per lui dell’omologazione delle diverse civiltà verso il basso e portatori di un’ideologia nemica delle qualità individuali. La parte più agiata del mondo anglosassone statunitense vedeva con preoccupazione la scalata verso il successo dei nuovi emigranti che sbarcavano dall’Europa, come gli Slavi, gli Irlandesi, i Greci e gli Italiani, diversi per religione e portatori di idee di giustizia sociale oltremodo pericolose, favorite dalla miseria in cui i nuovi arrivati erano costretti a vivere 16,17. Secondo le teorie di Stoddard, la Rivoluzione russa dell’ottobre del 1917 era stata il culmine di una vera e propria battaglia tra le Civiltà dell’Occidente e le masse brutali dell’Est Europa. Se la razza bianca voleva veramente prevalere nel confronto con questi sub-umani bolscevichi doveva prendere le distanze dalle idee liberali e troppo arrendevoli delle grandi democrazie europee e americane per adottare dei drastici cambiamenti di politica economica e sociale, introducendo ad esempio un programma di eugenetica per migliorare il proprio milieu biologico. Rosemberg riprese in parte le idee di Stoddard e affermò che le popolazioni slave, da lui considerate di etnia più infima rispetto a quelle dell’Europa del Nord, avendo scelto il Comunismo avevano dato vita a una razza di Untermensch (Uomini di rango inferiore). Si trattava naturalmente di un gruppo etnico e razziale immaginario che costituiva tuttavia un pericolo per l’Occidente e la sua civiltà e cultura. Dopo l’inizio vittorioso della Seconda Guerra Mondiale, Alfred Rosemberg ricevette il titolo importante, anche se un po’ vago, di Ministro del Reich per i Territori Occupati dell’Est, una carica che lo portò a ideare un piano di conversione delle grandi pianure dell’Europa Orientale alle esigenze della popolazione germanica. Un progetto che avrebbe comportato l’eradicazione forzata oppure la messa in schiavitù di milioni di individui ritenuti di etnia inferiore, vale a dire i Polacchi e i Russi, mentre per gli Ebrei che vivevano da secoli in quelle nazioni era prevista l’eliminazione totale e di tipo fisico, oltre che come componente etnica e culturale 3,4. La Germania iniziò ad applicare un programma di sterilizzazione forzata a partire dall’anno 1933, subito dopo la conquista del potere da parte di Hitler con le elezioni del gennaio dello stesso anno. In sintonia con la visione ideologica che abbiamo descritto il regime nazista diede vita alle prime politiche di igiene razziale. Pochi mesi dopo l’ottenimento del cancellierato da parte del dittatore, il 14 luglio 1933, fu discussa e approvata dal parlamento tedesco ormai egemonizzato e condizionato dal Partito Nazionalsocialista, la Gesetz zur Verhütung erbkranken Nachwuchses (Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie). La legge fu promulgata il 25 luglio seguente e questo per motivi di opportunità e appena dopo la firma del Concordato con la Chiesa Cattolica che era avvenuta il 20 dello stesso mese. Questa legge del 1933 stabiliva che le persone affette da una serie di malattie ereditarie, oppure di cui si potesse supporre un’origine genetica, come la schizofrenia, l’epilessia, le varie forme di cecità e di sordità, la corea di Huntington e le deficienze mentali in genere, fossero sottoposte alla sterilizzazione forzata. A questi sfortunati esseri umani, incolpevoli del loro stato, la legge nazista aggiunse gli alcolisti cronici applicando una sorta di condanna morale per un comportamento sociale assai diffuso che aveva visto negli anni precedenti, guarda caso al di là dell’Oceano, l’emanazione della Legge sul Proibizionismo, in vigore negli U.S.A. fino al dicembre dell’anno 1933 3,18. Il Ministero degli Interni tedesco, da cui dipendeva anche il Sottosegretariato alla Sanità, calcolò in circa 400.000 il numero delle persone da sterilizzare. I precedenti da seguire come modello erano ben presenti grazie agli interventi analoghi di inizio secolo in America e Svezia. Questo ministero fu retto fino all’agosto del 1943 da Wilhelm Frick (1877-1946), un avvocato bavarese e uomo di fiducia di Hitler, un nazista fanatico della prima ora che sarebbe stato uno dei principali autori delle leggi antiebraiche, chiamate anche Leggi di Norimberga ed emanate nel 1935. Attraverso questa giurisdizione la comunità ebraica tedesca sarebbe stata di fatto privata dei diritti civili e i matrimoni misti sarebbero stati impediti. Frick sarà condannato a morte nel Processo di Norimberga destinato ai gerarchi di primo livello e giustiziato nel 1946.
Furono pertanto istituiti dei Tribunali speciali, chiamati Erbgesundheitsgerichten (Tribunali per la Sanità ereditaria), formati da tre membri, di cui due erano medici e il terzo un giudice distrettuale. Questi organi medico-giuridici avevano il compito di esaminare i pazienti nelle case di cura, negli istituti psichiatrici, nelle scuole per disabili e nelle prigioni per stabilire coloro che dovevano essere sterilizzati e procedere nel caso all’intervento. Tutti i responsabili degli istituti dove potevano trovarsi i candidati alla sterilizzazione, i medici, i direttori, gli insegnanti e via dicendo avevano l’obbligo legale di riferire ai funzionari dei Tribunali i nomi di coloro che a loro avviso rientrassero nelle categorie su cui intervenire, violando così ogni codice deontologico e umano. Si trattò del primo di una lunga serie di violazioni del Giuramento di Ippocrate di cui si resero colpevoli innumerevoli medici tedeschi durante il Nazismo 1,3. Nonostante le proteste di qualche familiare e i ricorsi avanzati dai parenti, si ritiene che tra il 1933 e il 1939 siano state sterilizzate circa 350.000 persone. La legge venne utilizzata come uno strumento punitivo, un mezzo utile in molti casi per mettere fuori gioco i dissidenti e le persone politicamente scomode. Dando una connotazione di tipo morale all’applicazione della legge furono di conseguenza sterilizzate molte prostitute e pure chi non era affetto da malattie ereditarie. Martin Bormann (1900-1945), il potentissimo segretario personale di Hitler e la vera eminenza grigia del regime, fece emanare una direttiva nella quale era specificato che in una diagnosi di debolezza mentale fosse necessario tenere conto del comportamento politico e morale antinazista della persona esaminata e di soprassedere invece nel caso opposto. Veniva creato in questo modo un nuovo strumento per colpire i nemici del Partito. Esistono alcuni indizi che il programma di sterilizzazione di massa fosse esteso anche alle persone affette da disabilità fisiche in genere, anche se tale idea venne espressa con cautela in quanto il ministro della propaganda Joseph Goebbels soffriva degli esiti di una malattia ossea alla gamba sinistra e zoppicava nel suo incedere. Lo stesso generale delle SS Philipp Bouhler era claudicante a causa di una ferita alla gamba riportata nel corso della Prima Guerra Mondiale. Sarebbe stato pertanto imbarazzante tenere conto delle condizioni fisiche di questi due gerarchi tanto importanti per destinarli a una loro non proponibile sterilizzazione. Negli anni seguenti il 1937 le politiche di riarmo intraprese dalla Germania e la necessità di manodopera fecero in modo che molti potenziali pazienti risultassero esclusi dall’applicazione di questa legge per la necessità del loro impiego come forza lavoro nell’industria pesante e il numero delle sterilizzazioni forzate diminuì. La maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione di una legislazione che molti di loro ritenevano corretta in base alle idee scientifiche e antropologiche del tempo. La Chiesa cattolica, pur deplorando il provvedimento, si tenne in disparte senza esercitare alcun tentativo di disobbedienza civile o di richiamo ai principi della libertà di coscienza. Si limitò a chiedere che i medici cattolici fossero dispensati dall’applicazione della legge e dal fare parte delle commissioni selezionatrici dei candidati alla sterilizzazione 3,19. La pratica della sterilizzazione forzata fu dunque l’inizio di un percorso criminale che avrebbe portato in pochi anni all’eutanasia nei confronti dei malati di mente, alle esecuzioni di massa dei prigionieri di guerra e dei civili durante le campagne militari di Polonia e di Russia e all’abominio dei campi di sterminio per attuare la Soluzione finale del problema ebraico. L’ideologia nazista poggiava buona parte delle proprie teorie deliranti su di una base pseudo-scientifica, su di una forma di darwinismo sociale più estremo e radicale di quello anglosassone. L’uomo tedesco e nazista poteva e doveva intervenire in modo diretto sulla natura assumendo il controllo della vita e della morte e manipolando la nascita e l’esistenza degli individui per il bene della razza ariana destinata a dominare il mondo. Per il Nazionalsocialismo infatti il destinatario e il custode dei valori più forti di una nazione era il popolo connotato dal suo Blut, il sangue originario. Qualsiasi fattore che venisse ad alterare questo mito del sangue puro doveva essere represso. Non si trattava di un qualcosa di completamente nuovo e che non si era mai visto nella storia delle nazioni europee. Spagna e Portogallo avevano vissuto tra il XV e i XVI secolo le persecuzioni e le espulsioni a carico degli ebrei convertiti, i Marrani, che continuavano a praticare in segreto la religione dei loro padri. Si era trattato in questo caso della rincorsa spasmodica e assurda a raggiungere la così detta limpieza de sangre, la qualità che un vero cristiano e suddito fedele di sua Maestà Cattolica il re di Spagna doveva possedere. A fare rispettare questa caratteristica provvedevano i Tribunali della Santa Inquisizione, ma l’applicazione di un tale regime di esclusione e di persecuzione non aveva ancora, per la caratteristica di quei tempi, la possibilità di applicare dei criteri pseudoscientifici come nella Germania hitleriana 20.
Il modello di vita cui conformarsi era la Volksgemeinschaft, la Comunità del popolo, tenuta insieme dall’omogeneità di razza e dal cameratismo militare e paramilitare, quasi si trattasse di una nuova Sparta su di una scala molto più grande e destinata a dominare e asservire il mondo. La stabilità e la purezza di questo popolo ariano doveva essere raggiunta eliminando la componente ebraica, spesso ulteriormente degradata dall’adesione al marxismo di molti ebrei. Karl Marx (1818-1883) era infatti di origini ebraiche e suo nonno Mordechai Halevi Marx aveva ricoperto la carica di rabbino di Trier (Treviri), la città natale di Marx. Anche il Boden, il Suolo della Patria, costituiva la parte integrante dell’identità e delle caratteristiche del popolo tedesco. Un popolo che aveva bisogno di spazio e di nuovi territori vitali o Lebensraum per essere indipendente e prosperare. Le grandi pianure dell’Est europeo, ricche di grano e di risorse naturali, apparivano come il luogo di conquista ideale per questo popolo tedesco purificato geneticamente e completamente ariano. Questo era stato nel passato il credo dei Cavalieri Teutonici che avevano cercato di imporre la supremazia dei Tedeschi sui popoli slavi partendo dalle fortezze inespugnabili edificate dall’Ordine teutonico nella Prussia Orientale per compiere crociate sanguinose e terrorizzare le popolazioni dell’Est. Dopo la colonizzazione nazista delle pianure Bielorusse e Ucraine, gli Slavi sopravvissuti alla guerra, popoli di condizione inferiore secondo la folle, ma lucida ed a suo modo coerente ideologia nazista, sarebbero stati impiegati come schiavi nella coltivazione della terra in favore dei vincitori ariani 21,22. Per gli ebrei invece e per tutte gli altri esseri umani ritenuti etnicamente e socialmente degeneri, come i Rom, gli omosessuali e via elencando, non vi sarebbe stato scampo. La loro eliminazione fisica avrebbe rivestito le caratteristiche di una vera e propria operazione chirurgica, una terapia medica destinata a eliminare un male, un’infezione che minava la salute del corpo sociale ariano e germanico chiamato ai più elevati destini e al dominio del Mondo 3.
Nel modello sociale nazista lo Stato diventava quindi l’entità suprema su cui era modellato il popolo che lo costituiva. Un popolo che doveva fedeltà e obbedienza assoluta ai propri capi, interpreti di una missione per realizzare la quale veniva indicata la strada. La propaganda e l’indottrinamento costante delle masse divennero parte attiva del costituirsi dell’adesione popolare a tale progetto aberrante. Ogni cittadino dello stato tedesco doveva avere la sensazione di stare adempiendo a un impegno preciso, doveva sentire il proprio ruolo come facente parte di uno schema più ampio di cose e di intenti il cui farvi parte costituiva una ricompensa sufficiente e gratificante 5,6. Le procedure del vivere sociale e le modalità stesse con cui venne organizzata e programmata la sterilizzazione e in seguito l’eutanasia attiva e infine lo sterminio degli Ebrei, erano estremamente burocratizzate e parcellizzate nei diversi compiti e nei molteplici ingranaggi del sistema. Il singolo esecutore veniva in tal modo privato di una visione d’insieme dell’orrore di cui risultava soltanto uno degli artefici efficienti. Questo tipo di organizzazione permetteva un’estrema spersonalizzazione del sistema e un’attenuazione delle responsabilità psicologiche dell’individuo, il quale veniva a essere inserito in una catena di comando che copriva dubbi e rimorsi attraverso il velo dell’obbedienza a ideali di fedeltà al proprio popolo e alla stirpe di appartenenza. Si trattava di un modello che abbiamo visto ancora e recentemente all’opera nel Sud-Est asiatico con il regime cambogiano di Pol-Pot e nelle guerre che si sono succedute alla disgregazione della ex-Jugoslavia. In questo secondo caso abbiamo assistito a massacri etnici e violenze di massa sulla base della discriminazione religiosa in cui non a caso uno dei capi delle milizie colpevoli dei terribili eccidi in Bosnia Erzegovina a danno dei musulmani, come quello di Srebrenica del 1995, era un medico, il criminale di guerra e psichiatra serbo-bosniaco Radovan Karadžić 23.
Il sistema di selezione che aveva così ben funzionato nella sterilizzazione coatta venne perfezionato e messo a punto attraverso il Programma T4 di eutanasia dei malati di mente incurabili e dei malati non autosufficienti istituito con la direttiva di Hitler del settembre 1939, appena dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Il programma fu sviluppato operativamente attraverso l’apporto di Leonardo Conti (1900-1945), un medico di origini svizzere e generale delle SS. Conti era di fatto il ministro della sanità del III Reich che era allora un sottosegretariato alle dipendenze del ministero dell’interno. Conti era figlio di una cittadina tedesca e di un impiegato delle poste del Canton Ticino e aveva seguito la madre in Germania dopo la fine del matrimonio. Era entrato giovanissimo e dopo la Grande Guerra tra le fila del partito nazista divenendo poi il capo dell’Associazione dei Medici Nazisti. Dotato di una personalità ambiziosa, ma facile al compromesso, Conti aveva fatto una brillante e rapida carriera nel corpo delle SS, divenendo generale e conservando sempre buoni rapporti con il potente Reichsführer delle SS Himmler. La stessa cosa non si poteva affermare di un altro medico molto influente, quel Karl Brandt malvisto dal capo delle SS Himmler per i suoi rapporti amichevoli con Hitler e con Albert Speer, architetto e ministro degli armamenti. Brandt e Speer erano i due uomini più intelligenti della corte ristretta del dittatore e probabilmente gli unici amici sinceri su cui Hitler, senza rendersene conto, potesse contare. Brandt divenne infatti generale solo nel 1943 e fu poi nominato da Hitler in persona Commissario per la Sanità e la Salute del Reich nel 1944, una carica che gli conferiva un potere importante di coordinamento e di controllo sulla Sanità civile e militare del Reich, a eccezione però del corpo delle SS, che erano dotate di una propria e indipendente struttura medica e sanitaria. Brandt si sforzava di continuare a fare il chirurgo in un ospedale della Berlino ormai devastata dai bombardamenti, mentre la carica di Commissario gli procurò degli ulteriori nemici e molteplici invidie, accentuando i suoi attriti con Leonardo Conti, Heinrich Himmler e soprattutto con il potente e astuto Martin Bormann (1900-1945), il segretario personale di Hitler e il capo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori o NSDAP, il Partito Nazista, la vera eminenza grigia del Regime. Un uomo sfuggente e intrigante Martin Bormann, la cui influenza su Hitler era determinante in ogni scelta di governo pur restando astutamente nell’ombra. Gli altri artefici organizzativi del Programma T4 erano l’onnipresente generale delle SS Philipp Bouhler e il suo braccio destro, il colonnello Viktor Brack. Il Programma T4 comprendeva una selezione su scala nazionale in cui i medici dei vari luoghi di cura, alcuni manicomi e cronicari per lo più, dovevano segnalare alle autorità centrali le caratteristiche di autosufficienza o meno e la gravità delle malattie presentate dai loro assistiti. Vennero predisposte alcune pseudo Case di cura, una sorta di centri di raccolta in cui questi poveretti andavano incontro a una valutazione medica collegiale con la compilazione di moduli appositamente predisposti che attestassero un’inabilità al lavoro e alla vita sociale. Si procedeva infine alla loro uccisione attraverso la somministrazione di farmaci letali, per lo più degli oppioidi utilizzati insieme ai barbiturici. In seguito, per velocizzare il processo di uccisione e renderlo più impersonale, eliminando il più possibile il contatto umano tra la vittima e il carnefice, venne usato un gas velenoso come il monossido di carbonio. Vennero allestite delle piccole camere a gas all’interno dei finti nosocomi e le vittime, dopo l’esecuzione, venivano avviate alla cremazione in locali appositi e contigui di cui ogni centro di eliminazione disponeva. Responsabili principali di questa scelta del gas furono i due medici Brandt e Conti. Il primo dichiarò al processo di Norimberga di essere stato mosso da un relativo sentimento di umanità, in quanto riteneva il gas una forma più rapida e indolore di uccisione, mentre il secondo, un uomo più opportunista, scelse senza problemi quella che gli appariva come la modalità più semplice ed efficiente. Inizialmente vennero utilizzati anche degli autobus appositamente modificati che scaricavano le esalazioni dei gas del motore nell’abitacolo sigillato in cui prendevano posto i malati, ma quest’azione criminale parve agli ideatori troppo lenta e macchinosa. Il passaggio alle vere e proprie camere a gas, le quali rendevano ogni finto nosocomio una vera e propria fabbrica di morte, fu pertanto rapido 1,3. Una delle caratteristiche principali di questa procedura aberrante era costituita dalla sua estrema burocratizzazione e da un elenco minuzioso di operazioni e di valutazioni pseudo sanitarie da compiere attraverso il coinvolgimento di figure di tecnici, di periti e di esperti, il che permetteva una spersonalizzazione della responsabilità individuale con un minore coinvolgimento emotivo degli operatori. Le stesse strutture destinate alle uccisioni erano denominate eufemisticamente Case di cura e assistenza della Comunità di Lavoro del Reich, il che fornisce anche un altro elemento di informazione importante relativo al progetto: chi non poteva essere produttivo, nel senso reale e concreto del termine, doveva essere eliminato. Si richiedeva infatti ai medici coinvolti di compilare dei questionari che fornissero un’idea precisa della capacità lavorativa dei pazienti e che permettessero, in modo apparentemente distaccato e imparziale, quasi si trattasse di una modalità scientifica, di stabilire chi avesse il diritto di continuare a vivere e chi invece andasse eliminato perché considerato un peso per la società. Philipp Boulher non si occupò direttamente dell’attuazione del Programma T4 ma diede disposizioni perché venisse organizzato con coerenza e precisione. La parte medica faceva capo ai generali e medici Leonardo Conti e Karl Brandt, mentre il lato amministrativo e gestionale fu diretto dal colonnello Viktor Brack. Si può considerare quest’ultimo come la vera mente criminale del programma. Ricopriva l’incarico di ufficiale di collegamento tra la cancelleria privata di Hitler (KdF) a Berlino e il comando delle SS di Himmler, ma si impegnò con particolare efficienza nell’incarico che Boulher e il suo protettore Himmler, di cui Brack era stato l’autista, gli avevano affidato. Brack emanò tra le altre cose una direttiva che ebbe delle conseguenze importanti negli anni seguenti, una norma che verrà seguita anche nei futuri campi di sterminio. La circolare dell’ufficio di Brack prescriveva che «la siringa potesse essere usata solo dal medico» e quindi che la supervisione sull’uccisione dei selezionati, sull’utilizzo delle camere a gas nei falsi nosocomi e degli strumenti di morte in genere venisse effettuata solo dai medici. Si trattava di medici facenti parte di un Corpo di sanitari delle SS appositamente selezionato e istruito attraverso degli appositi corsi di formazione. Medici che avrebbero dovuto effettuare, dopo il decesso delle vittime predestinate, le autopsie sui cadaveri prima di farli cremare. L’esame autoptico serviva a procurarsi dei campioni di tessuto, per lo più cerebrale, che erano inviati ai Servizi di Igiene delle SS. Un servizio sanitario molto efficiente che si sarebbe segnalato nell’ideazione e conduzione degli esperimenti medici più disumani condotti nei lager e a cui era a capo il colonnello medico Joachim Mrugoswski (1905-1948), poi giustiziato dopo il processo di Norimberga dedicato ai medici nazisti. La giustificazione a tale procedura autoptica era quella di procurarsi del materiale per delle successive ricerche mediche, tuttavia l’aura di scientificità con cui si cercò di coprire quei misfatti continuò a restare un sotterfugio ipocrita. Forse la testimonianza indiretta più celebre di questa consuetudine pseudoscientifica fu quella costituita dall’Atlante di Anatomia del medico austriaco Eduard Pernkopf (1888-1955), il preside della Facoltà di Medicina e poi il rettore dell’Università di Vienna, un iscritto al Partito Nazista fin dal 1933. Pernkopf utilizzò per il suo libro centinaia di disegni anatomici modellati sulla dissezione di prigionieri politici giustiziati e non è sicuro se in questo numero vadano anche ricompresi alcuni esseri umani colpevoli di essere di religione ebraica e uccisi solo per questo. Di sicuro il professor Pernkopf era un nazista fanatico, il quale a partire dal 1938 teneva le sue lezioni indossando la divisa militare del Terzo Reich e venerava la figura di Adolf Hitler come appare dal testo dei sui discorsi pubblici. Dopo l’annessione dell’Austria al Reich nel 1938 Pernkopf espulse dalla Facoltà di Medicina di Vienna tutti gli insegnanti ebrei, anche coloro che vantavano un importante passato accademico e di ricerca e avevano vinto il Premio Nobel. Uno dei quattro illustratori dell’Atlante che cooperarono per anni con Pernkopf, Erich Lepier, era solito firmare le proprie tavole anatomiche con una piccola svastica interposta tra il nome e il cognome dell’autore. Anche i suoi compagni illustratori utilizzarono degli artifici grafici simili per dimostrare e sottolineare la propria fede nazista. Pernkopf non fu perseguito con durezza alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tranne che per un periodo di reclusione in un campo di lavoro degli Alleati. L’Atlante di Anatomia fu terminato solo cinque anni dopo la morte del medico nazista, nel 1960, tuttavia non viene più ristampato e commercializzato dal 1994 per la consapevolezza di come sia stato disegnato ed elaborato e del carico di dolore e di ingiustizia che esso contiene. I volumi erano caratterizzati da un indubbio valore artistico e tecnico e alcuni chirurghi di fama dovettero ammettere di averlo utilizzato con profitto nel loro lavoro. Pensare come e da chi questo libro fu costruito può servire a riflettere sulla complessità e l’ambiguità dell’esistenza e della pratica di gesti criminosi in campo medico e comprendere come questi comportamenti possano generare un’acquiescenza indiretta al male, mascherata da principi di una presunta utilità curativa 24. La disposizione emanata dal colonnello Brack affermava pertanto che nelle Case di Cura adibite ai delitti la morte dovesse essere inflitta solo dai medici e che questa responsabilità medica avrebbe dovuto valere anche per la compilazione dei falsi certificati di morte che salvaguardassero l’aspetto di sanità pubblica utilitaristica dell’uccisione. Brack era figlio di un medico e doveva avere conservato una qualche forma di rispetto per la figura dei sanitari anche se qualche anno dopo al Processo ai Medici di Norimberga risultò essere uno dei principali accusatori di Karl Brandt con cui aveva strettamente collaborato. Viktor Brack fu in seguito, a partire dall’anno 1942, l’ideatore di buona parte del programma di lavori forzati nei Lager legati allo sterminio delle popolazioni ebraiche, oltre ad avere una parte attiva come organizzatore nella sterilizzazione di massa attraverso le irradiazioni delle donne ebree e slave internate nei campi di concentramento. Brack sostenne la necessità dello sfruttamento fino alla consunzione degli internati nei lager adibendoli a lavori utili alla macchina bellica tedesca prima della loro uccisione. Un altro responsabile medico del progetto di eutanasia dei malati di mente fu il neurologo e psichiatra Werner Heyde (1902-1964) dell’Università di Würzburg, che sopravvisse alla Seconda Guerra Mondiale ed esercitò in seguito la sua professione per anni come consulente e sotto falso nome nella Germania del Nord. L’esperienza accumulata nel progetto criminale dell’Eutanasia di Stato fu la base per il passo successivo, quello dello sterminio di massa degli Ebrei nei Campi di Concentramento e di Sterminio appositamente costruiti nell’Europa Orientale. Dopo l’estate del 1941 il Programma T4 venne infatti ufficialmente chiuso per le proteste dei familiari dei disabili e delle Chiese cattolica e protestante. Rimase in piedi un’elaborata struttura organizzativa costituita da un piccolo esercito di addetti, come infermieri, inservienti, burocrati e amministratori, oltre a numerosi medici delle SS motivati e preparati a quell’incarico orrendo e ad altri compiti aberranti che dovessero essere loro affidati. Un insieme di persone animate dal fanatismo nazista e indottrinate quanto basta, la cui presenza e il cui lavoro di uccisione nei territori della Germania li avevano resi invisi alla popolazione tedesca che li vedeva come aguzzini i quali strappavano dalle loro case e dalle cure parentali i deboli e i malati per ucciderli nelle finte Case di cura. Questa struttura di morte costituirà l’impalcatura del programma di eliminazione di massa dell’Etnia ebraica dall’Europa, il tentativo portato avanti con una coerenza ignobile di compiere il maggiore crimine mai ideato nella storia dell’intero genere umano.
Figure e tabelle
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